A cura di Patrick Pecora
Cari amici di Ranocchiate, oggi è una di quelle giornate in cui ho stranamente modo di “tirare il fiato” e poter riflettere, cosa che credo possa rivelarsi fondamentale nei momenti in cui tante piccole situazioni iniziano ad acquisire preponderanza in un periodo particolarmente “pieno”: certo è che se il risveglio domenicale è accompagnato dalle inevitabili riflessioni sulla nostra partita, si rischia di scadere nel filosofico con la stessa semplicità con cui Juan Jesus avanzava dalla linea difensiva per ancora poco chiari motivi.
E’ da ieri che cerco di dare una risposta convinta ad una semplice domanda, propostami a fine gara da uno dei nostri compagni di brigata Ranocchioide Luigi: abbiamo perso due punti o siamo riusciti a guadagnarne uno?
A mio parere sarebbe facile parlare di “occasione persa”, soprattutto se si considera che non abbiamo certamente giocato la miglior partita della stagione, ma per quanto severi si voglia essere nel giudicarsi, il Torino non è un cliente semplice per nessuno qui in Italia: questa era la partita giusta per riuscire realmente a capire il nostro potenziale: possiamo giocarcela con tutti, ma non ci siao ancora lasciati alle spalle certi limiti.
In effetti riguardo la situazione attuale le uniche due cose certe sembrano essere che Gabigol per ora non riuscirà ad entrare nemmeno alla Playstation e che Hart è il degno erede di Nelson Dida, storico portiere capace di fare parate incredibili ed errori altrettanto clamorosi, a volte nella stessa partita.
E’ pur vero che ci sono comunque alcune note liete da considerare: Kondogbia continua a colpire il Torino con la stessa cinicità con cui Materazzi colpiva Shevchenko e riesce finalmente a mostrare sprazzi del centrocampista che potrebbe essere; Gagliardini continua a confermarsi metronomo fondamentale per il nostro centrocampo; Miranda sembra aver finalmente ricordato di essere uno dei migliori difensori in circolazione e Medel è ancora attaccato con i denti alla gamba di Belotti. Se si aggiunge che Ansaldi sembra essersi rigenerato nelle ultime uscite (sperando che non valga il vecchio adagio che vuole il lupo perdere il pelo ma non il vizio) e che D’Ambrosio è stato nientepopòdimeno che convocato in nazionale, la voglia di sorridere pensando al futuro sembra innescarsi naturalmente.
Morale della “favola”: non è certamente pareggiando partite come questa che riusciremo a raggiungere l’obiettivo della qualificazione alla Champion’s League del prossimo anno, ma vista la determinazione che questa squadra dimostra incontro dopo incontro vale la pena continuare a lottare con tutte le nostre forze, almeno fino a quando non sarà la famigerata “matematica” a condannarci.
Usciti dalla sbronza delle ultime due giornate in cui abbiamo segnato con la stessa facilità con cui Bobone rimorchia il sabato sera, dobbiamo essere capaci di utilizzare l’autostima incamerata finora a nostro vantaggio, e non fare in modo che rimangano soltanto amabili resti ormai dimenticati: siamo una squadra che lotta, che sa soffrire e che ha dimostrato di saper reagire dopo tante situazioni negative; considerando “da dove veniamo”, ovvero che nonostante le cose quest’anno nel primo periodo non siano andate esattamente come speravamo, siamo lì a giocarci, seppur da lontano, una possibilità per raggiungere i nostri obiettivi.
Mi rendo conto che chiamarsi F.C. Internazionale fa una bella differenza nel mio forse troppo ottimistico modo di vedere le cose, ma ogni tanto, dopo un momento di difficoltà, è più saggio apprezzare tutto ciò che si è raggiunto con grande sforzo, piuttosto che chiudersi dietro al velo di un retaggio ormai in discussione.
In un passato né troppo vicino né troppo lontano siamo riusciti ad essere i più grandi di tutti: possiamo tornare ad esserlo, continuando a “lottare su ogni centimetro”, citando il grande Al Pacino, senza arrenderci mai.
Per tutto il resto… c’è lo zio Zhang