«Avevano superato il confine fra giocare, correre e volare...c’era una volta una squadra bella e invincibile, veniva dalla Catalogna e forse dal futuro. A Milano hanno scoperto di abitare sulla Terra e sono tornati a casa senza le lucine e senza astronave»
Il 28 aprile 2010 i marziani del Barcellona sono sbarcati a San Siro con l'intenzione di disintengrare i terrestri che avevano osato combattere il loro Potere fino a sconfiggerlo. Con un ragazzino come Balotelli in campo, poi? Sacrilegio. Più che il sentimento, la settimana che ha separato le due partite ha segnato un confine netto tra il prima e il dopo. Intendiamoci, i grandi proclami sono umani, ma questi andavano ben oltre.
Adesivi, magliettine, campagne sui social, spot pubblicitari, stampa spagnola: è stato utilizzato ogni mezzo esistente per un scopo, riassunto in poche parole da Piquè:
«Spero che i giocatori dell'Inter arrivino in campo e rimpiangano di essere calciatori per 90 minuti»
“Rimpiangere”. I catalani hanno una sola parola d'ordine: Remuntada. Hanno talmente tanta paura di non farcela da aver voglia di distruggerci. Noi abbiamo adottato l'unico rimedio possibile, la "calcificazione dell’amigdala" (l'amigdala è deputata alla gestione delle emozioni, ndr). Siamo incapaci di provare paura. Moratti&co, che la sapevano lunga, aveva fatto un calciomercato saggio per aiutarci, riuscendo ad unire capacità e Ignoranza.
+++ANTEPRIMA ASSOLUTA+++ La classica foto di rito prima di andare all’Hollywood, data 21/04/10.
La faccia della paura, però, esisteva eccome: era la mia, la tua, quella di ogni tifoso nerazzurro. Non volevamo però dimenticare una cosa: i nostri undici eroi avevano già fatto fallire la prima missione catalana. Quindi si va a Barcelona per vincere. Si fotta il terrorismo psicologico.
Mi ha sempre incuriosito il termine “resilienza”, ovvero quella capacità di superare eventi traumatici senza esserne dominati: l’Inter, quell'anno, ne aveva da vendere. Così come il nostro condottiero portoghese. Fidatevi, non era facile essere Mourinho, quella sera. Ma lui, dimostrando tutte le sue competenze psicologiche, ha esorcizzato la paura con poche semplici frasi:
"Abbiamo il sogno di giocare la finale di Champions, mentre per il Barcellona è un'ossessione. Per loro andare a Madrid a giocare una finale è un'ossessione. E c'è differenza tra sogno ed ossessione, il sogno è più puro. Per loro è anti-madridismo."
Barcellona-Inter 2010: la partita
Un fattore che tendiamo spesso a sottovalutare, presi dalle fisse di moduli e numeri, è la duttilità di una squadra. Probabilmente avrete notato la “difficoltà” nello schierare i nostri undici graficamente: non è un caso. Tutto è dovuto al geniale trasformismo del Vate di Setubàl (persino superiore a quello di Joao/Elodie), che dal 4-2-3-1 arrivava al 4-3-1-2 fino al 4-2-1-3.
La partita comincia con l’intenzione di lasciare al centrocampo l’importante funzione di comprendere la partita (Motta e Cambiasso non sono Gargano e Guarin, ma ci si accontenta) per poter gestire coperture, raddoppi, ripartenze. Come prova, le parole di Repice a fine primo tempo: “Inter che non sta rischiando nulla e che sta difendendo con un ordine che fa sicuramente rabbia ai 100.000 del Camp Nou”. Ed è tutto maledettamente vero.
Ma al minuto 28 succede quello che nessuno di noi poteva immaginare: iniziano, senza preavviso, i trailer dei candidati agli Oscar Ibra, Pedro, fino a Busquets. I nostri non sono pronti, hanno tolto gli abiti dell’Hollywood e, in scarpini e pantaloncini, credevano di dover giocare a calcio. Il Barcelona sul red carpet è imbattibile, prende sempre più fiducia. Busquets vince, meritatamente, il premio come miglior attore protagonista. Rosso a Thiago Motta.
Da lì in poi, dal red carpet ci ritroviamo catapultati alla battaglia delle Termopili. Siamo in inferiorità numerica e loro, forse, sono più forti di noi. Non hanno però fatto i conti con la voglia di rivalsa del gruppo storico e con le dosi di ignoranza che Arna distribuiva, giorno dopo giorno, per trasformare i suoi compagni. Ogni volta che un catalano trova una breccia, viene respinto da uno scudo nerazzurro. Ogni volta che viene versato del sangue nerazzurro, ci si rialza. Denti stretti e correre. Senza sosta.
«Correrò come un negro per guadagnare come un bianco»
S. Eto’o
Il tiro di Messi e il volo di Julio Cesar, probabilmente fra le parate più difficili mai compiute da un portiere. Eto’o che si trasforma in terzino (un atleta dal palmares infinito quanto la sua umiltà in campo). La simulazione di Dani Alves (che dimostrava già di essere l'uomo perfetto per la carriera futura che lo attenderà di lì a poco). Muntari per Sneijder. Il Barça pressa senza sosta, noi difendiamo la nostra area di rigore come se ne dipendesse la nostra vita. I minuti sembrano non passare mai.
Al minuto 84 il Barcellona riesce a trovare la via del gol: Xavi serve Piquè dentro l'area, lo spagnolo con un gesto da attaccante vero si libera di Cordoba e Julio Cesar con una giravolta e appoggia la palla in rete. 1-0 Barca. Ai catalani basta un altro gol per farcela. In questi 6 minuti più recupero, dobbiamo lottare ancora di più. RESISTENZA AD OLTRANZA.
Mariga per Eto’o. Il cambio più importante e significativo della Champions: il giovane ed umile #mitt per il campione, il fuoriclasse. Un #mitt venuto dal Kenya, da un piccolo quartiere denominato Dallas: uno che la paura non sa nemmeno cosa sia.
Al 92° il tracollo: la palla arriva in qualche modo a Bojan che si infila nella nostra difesa e deposita in rete il pallone dello 0-2. Tutti troppo fermi, dopo una partita in cui nessuno si era fermato mai. Strano. Passano pochi secondi e scopriamo il perché: prima ancora che la palla arrivi al piccolo #mitt catalano, l'arbitro fischia fallo di mano a Yaya Tourè. Respiro. Questa partita è ancora nostra. (Però ancora nessuno mi ha restituito i 30 anni di vita che ho perso in quel momento) Non c’è più nulla da dire. Anzi sì, elogiare Materazzi che andrà a rubare un pallone con estrema nonchalance. Ti si vuole bene, Matrix. Dopo 90 minuti (durati 754 per ogni interista), finalmente l'arbitro fischia la fine delle ostilità. Il Barcelona vince 1-0. Ma in finale, ci andiamo noi.
«Avevano superato il confine fra giocare, correre e volare...c’era una volta una squadra bella e invincibile, veniva dalla Catalogna e forse dal futuro. A Milano hanno scoperto di abitare sulla Terra e sono tornati a casa senza le lucine e senza astronave»
Il 28 aprile 2010 i marziani del Barcellona sono sbarcati a San Siro con l'intenzione di disintengrare i terrestri che avevano osato combattere il loro Potere fino a sconfiggerlo. Con un ragazzino come Balotelli in campo, poi? Sacrilegio. Più che il sentimento, la settimana che ha separato le due partite ha segnato un confine netto tra il prima e il dopo. Intendiamoci, i grandi proclami sono umani, ma questi andavano ben oltre.
Adesivi, magliettine, campagne sui social, spot pubblicitari, stampa spagnola: è stato utilizzato ogni mezzo esistente per un scopo, riassunto in poche parole da Piquè:
«Spero che i giocatori dell'Inter arrivino in campo e rimpiangano di essere calciatori per 90 minuti»
“Rimpiangere”. I catalani hanno una sola parola d'ordine: Remuntada. Hanno talmente tanta paura di non farcela da aver voglia di distruggerci. Noi abbiamo adottato l'unico rimedio possibile, la "calcificazione dell’amigdala" (l'amigdala è deputata alla gestione delle emozioni, ndr). Siamo incapaci di provare paura. Moratti&co, che la sapevano lunga, aveva fatto un calciomercato saggio per aiutarci, riuscendo ad unire capacità e Ignoranza.
+++ANTEPRIMA ASSOLUTA+++ La classica foto di rito prima di andare all’Hollywood, data 21/04/10.
La faccia della paura, però, esisteva eccome: era la mia, la tua, quella di ogni tifoso nerazzurro. Non volevamo però dimenticare una cosa: i nostri undici eroi avevano già fatto fallire la prima missione catalana. Quindi si va a Barcelona per vincere. Si fotta il terrorismo psicologico.
Mi ha sempre incuriosito il termine “resilienza”, ovvero quella capacità di superare eventi traumatici senza esserne dominati: l’Inter, quell'anno, ne aveva da vendere. Così come il nostro condottiero portoghese. Fidatevi, non era facile essere Mourinho, quella sera. Ma lui, dimostrando tutte le sue competenze psicologiche, ha esorcizzato la paura con poche semplici frasi:
"Abbiamo il sogno di giocare la finale di Champions, mentre per il Barcellona è un'ossessione. Per loro andare a Madrid a giocare una finale è un'ossessione. E c'è differenza tra sogno ed ossessione, il sogno è più puro. Per loro è anti-madridismo."
Barcellona-Inter 2010: la partita
Un fattore che tendiamo spesso a sottovalutare, presi dalle fisse di moduli e numeri, è la duttilità di una squadra. Probabilmente avrete notato la “difficoltà” nello schierare i nostri undici graficamente: non è un caso. Tutto è dovuto al geniale trasformismo del Vate di Setubàl (persino superiore a quello di Joao/Elodie), che dal 4-2-3-1 arrivava al 4-3-1-2 fino al 4-2-1-3.
La partita comincia con l’intenzione di lasciare al centrocampo l’importante funzione di comprendere la partita (Motta e Cambiasso non sono Gargano e Guarin, ma ci si accontenta) per poter gestire coperture, raddoppi, ripartenze. Come prova, le parole di Repice a fine primo tempo: “Inter che non sta rischiando nulla e che sta difendendo con un ordine che fa sicuramente rabbia ai 100.000 del Camp Nou”. Ed è tutto maledettamente vero.
Ma al minuto 28 succede quello che nessuno di noi poteva immaginare: iniziano, senza preavviso, i trailer dei candidati agli Oscar Ibra, Pedro, fino a Busquets. I nostri non sono pronti, hanno tolto gli abiti dell’Hollywood e, in scarpini e pantaloncini, credevano di dover giocare a calcio. Il Barcelona sul red carpet è imbattibile, prende sempre più fiducia. Busquets vince, meritatamente, il premio come miglior attore protagonista. Rosso a Thiago Motta.
Da lì in poi, dal red carpet ci ritroviamo catapultati alla battaglia delle Termopili. Siamo in inferiorità numerica e loro, forse, sono più forti di noi. Non hanno però fatto i conti con la voglia di rivalsa del gruppo storico e con le dosi di ignoranza che Arna distribuiva, giorno dopo giorno, per trasformare i suoi compagni. Ogni volta che un catalano trova una breccia, viene respinto da uno scudo nerazzurro. Ogni volta che viene versato del sangue nerazzurro, ci si rialza. Denti stretti e correre. Senza sosta.
«Correrò come un negro per guadagnare come un bianco»
S. Eto’o
Il tiro di Messi e il volo di Julio Cesar, probabilmente fra le parate più difficili mai compiute da un portiere. Eto’o che si trasforma in terzino (un atleta dal palmares infinito quanto la sua umiltà in campo). La simulazione di Dani Alves (che dimostrava già di essere l'uomo perfetto per la carriera futura che lo attenderà di lì a poco). Muntari per Sneijder. Il Barça pressa senza sosta, noi difendiamo la nostra area di rigore come se ne dipendesse la nostra vita. I minuti sembrano non passare mai.
Al minuto 84 il Barcellona riesce a trovare la via del gol: Xavi serve Piquè dentro l'area, lo spagnolo con un gesto da attaccante vero si libera di Cordoba e Julio Cesar con una giravolta e appoggia la palla in rete. 1-0 Barca. Ai catalani basta un altro gol per farcela. In questi 6 minuti più recupero, dobbiamo lottare ancora di più. RESISTENZA AD OLTRANZA.
Mariga per Eto’o. Il cambio più importante e significativo della Champions: il giovane ed umile #mitt per il campione, il fuoriclasse. Un #mitt venuto dal Kenya, da un piccolo quartiere denominato Dallas: uno che la paura non sa nemmeno cosa sia.
Al 92° il tracollo: la palla arriva in qualche modo a Bojan che si infila nella nostra difesa e deposita in rete il pallone dello 0-2. Tutti troppo fermi, dopo una partita in cui nessuno si era fermato mai. Strano. Passano pochi secondi e scopriamo il perché: prima ancora che la palla arrivi al piccolo #mitt catalano, l'arbitro fischia fallo di mano a Yaya Tourè. Respiro. Questa partita è ancora nostra. (Però ancora nessuno mi ha restituito i 30 anni di vita che ho perso in quel momento) Non c’è più nulla da dire. Anzi sì, elogiare Materazzi che andrà a rubare un pallone con estrema nonchalance. Ti si vuole bene, Matrix. Dopo 90 minuti (durati 754 per ogni interista), finalmente l'arbitro fischia la fine delle ostilità. Il Barcelona vince 1-0. Ma in finale, ci andiamo noi.
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