Cari amici di Ranocchiate, chi vi scrive (da buon calabrese) è ancora appesantito dai vari pranzi e cene tipici di questo periodo: molti di voi,probabilmente, sanno che chiamare i pasti con i nomi convenzionalmente assegnati in questo periodo è un eufemismo, considerato che ad un certo punto essi tendono a fondersi come Maicon e Biabiany, per dare vita al divino Jonathan.
Alzi la mano chi pensava che ieri sarebbe stata una partita tranquilla...
…
Nessuno?
Comprensibile, mica a caso siamo la Pazza Inter.
Mi domandavo: quale sarà l’approccio della beneamata a questa partita? Cavalcheranno l’onda dell’autostima creatasi dopo la vittoria con la Lazio o ricalcheranno le orme delle partite dopo la sosta degli scorsi anni?
I pensieri si accalcavano come le parole che fuoriescono dalla bocca del buon Del Neri, per cui ho deciso di sedermi ed osservare.
Come il mio collega Federico aveva già pronosticato tra i possibili sviluppi di questa partita, l’Udinese si trasforma nell’Udibarça, con Samir e Jankto nei panni di Messi e Suarez: l’impressione, però, è che non siano loro ad essere diventati improvvisamente campioni, ma che l’ombra dell’insicurezza continui ad aleggiare sui nerazzurri come la celeberrima nuvola di Fantozzi.
E’ già finito l’effetto della convinzione nei propri mezzi costruiti fino ad ora, partita dopo partita?
Certamente la fiducia è la più capricciosa fra le emozioni umane: si può instillare in un attimo e, altrettanto fugacemente, può scappare via senza nemmeno darci il tempo di realizzare cosa sia successo (per maggiori informazioni, chiedere a Brozovic).
Poi, come un fulmine a ciel sereno, Icardi (uno che di fiducia nei propri mezzi sembra averne molta) lavora un pallone sporco, lo serve a Perisic ed è 1-1: quel gol sembra voler dire “ce la possiamo fare”.
Ovvio, ci dà speranza, ma da qui a vincere la partita ne passa, soprattutto se continua a mancare quel salto di qualità da quei giocatori importanti come Banega o Murillo: la parte difficile è quella che ci ritroviamo davanti in questo punto della partita.
Continuiamo a provarci, dando l’impressione del “vorrei ma non posso”, ma non molliamo e alla lunga questi fattori di solito ripagano: proprio quando meno ce lo si potrebbe aspettare, Joao Mario inventa un lancio incredibile per Perisic che, galvanizzato dalla precedente rete, si trasforma in Iron Man e ci consegna questa insperata vittoria.
Il problema di questa squadra è sempre stato,a mio avviso, la squadra stessa, poiché capace di divenire il proprio peggior nemico nei momenti che contano e sprecare tutto il buon lavoro fatto fino a quel momento: oggi però, abbiamo dato un segnale da grande squadra, abbiamo dimostrato che possiamo avere la mentalità delle occasioni importanti, in cui si può vincere anche senza convincere.
Non è un problema di giocatori, ma di testa.
Il nome di questa rubrica nasce dalla fusione fra “Inter” ed “inconscio”, parola tanto cara alla psicologia: il problema dell’Inter è che pochi giocatori, fino ad ora, sono sembrati essere “consci” di essere all’Inter.
Questa partita mi ha ricordato un genere di chiamate che mi capita di ricevere ogni tanto da qualche amico, con il suddetto amico che mi chiama raccontandomi di aver sfiorato la catastrofe in un momento di poca lucidità, vuoi con la ragazza o vuoi con la conquista del sabato sera: di solito questi racconti sono contornati dalle mie risate di scherno, ma credo che nessun interista abbia riso guardando la partita di ieri; la maggior parte delle volte, per fortuna, questi racconti si concludono con un lieto fine reso possibile dall’intervento di un amico più saggio e lucido, che è riuscito a salvare la situazione in extremis.
Meno male per noi, l’amico di tutti gli interisti ieri è stato Ivan Perisic che, freddamente, ha risolto tutto.
Il match di ieri dovrà essere un monito a non abbassare la guardia per le partite a venire: la zona Champions League è sicuramente distante ma, come affermava un’eroe della boxe recentemente scomparso, “se la mia mente può immaginarlo ed il mio cuore sognarlo, allora posso raggiungerlo”.
Con buona pace delle statistiche.
A cura di Patrick Pecora