“Uniti si vince”. L’aveva detto Frank, in conferenza, prima di Inter-Torino. L’ha ribadito Ever Banega dopo la vittoria.
È uno spunto, è un ottimo input di riflessione, ma, prima di tutto, è una grande realtà su cui vorremmo si riflettesse.
48 ore fa il destino del nostro (ancora in sella) alieno Frank sembrava già segnato, solo due mesi dopo essere stato catapultato in un campionato straniero a due settimane dall’inizio del campionato.
Quella col Torino era una partita da dentro fuori, con la consapevolezza di essere già più fuori che dentro. Eppure il Frank non si è lamentato, non ha rinunciato prima di lottare e ha dimostrato di avere due palli grandi come tutto l’hinterland milanese.
Si deve essere squadra.
Questo è il mantra, quindi fuori tutti quelli che non sembrano interessati a questo concetto. Fuori i vari Kondogbia, Perisic e chiunque al momento sembri disposto ad anteporre il proprio “io” all’Inter. Non sono funzionali alla squadra e chi non lo è non è funzionale al progetto.
Si deve essere squadra.
Quindi in campo Eder, che magari tecnicamente non vale la metà di Perisic, ma che garantisce una partita di lotta, corse alla sfinimento e botte su botte incassate.
Si deve essere squadra.
Quindi in campo Palacio – a fronte di tutti i mugugni dei tifosi – uno che, a 35 anni, sa ancora bene il significato di squadra.
Si deve essere squadra.
Perché questo – e Frank, a differenza di tanti tifosi, lo sa bene – è l’unico modo di vincere nel calcio moderno se non hai fenomeni come Messi e Ronaldo (e, come dimostra l’Argentina, tante volte nemmeno bastano).
Pensate al Portogallo: chi ha vinto negli ultimi anni ha sempre prima imparato a giocare come un unico corpo unito e, solo in un secondo momento, sono emerse le individualità di alcuni singoli. Proprio grazie a questa unione d’intenti.
La cima della montagna è ancora lontana.
Nonostante la vittoria – e i giornali l’hanno sottolineato con incredibile rapidità –, la posizione di Frank resta in bilico.
In bilico perché troppa gente non riesce a comprendere l’idea di progetto, intrinsecamente legata a quella di crescita.
Si pensa di dover partire a mille all’ora, sfasciando avversari a destra e a manca senza nessuna difficoltà. Peccato che questo sia già difficile con fenomeni in squadra (guardate lo United), figuriamoci con la nostra modesta Inter.
Un appello a chi può prendere decisioni
Il “si deve essere squadra” potrebbe essere un mantra applicabile anche alla dirigenza interista, raramente apparsa così eterogenea e confusa.
Ma ci teniamo a dire qualcosa di diverso: basta dare ascolto ai malumori del giocatore che vuole il ritocchino di turno o a quelli della pancia dei tifosi interisti.
Coccolate il mister e fategli capire che siete con lui. Consigliatelo, aiutatelo, stategli vicino e alleggerite la troppa pressione che gli sta gravando addosso.
“Uniti si vince”, uniti si porta avanti il progetto.
Si deve essere squadra.