24/12/2020

An Inter Carol - Il Fantasma dell'Inter a venire

Ciao! Questa è la quarta parte di una saga natalizia, che potete trovare per intero cliccando qui

Il Fantasma si avvicinò lentamente, pesantemente, silenziosamente. Quando gli fu vicino, Scroogiotta si prostrò ginocchioni di fronte a lui, poiché l'aria stessa che questo Spirito spostava sembrava spargere corruzione e finali di Champions perse.

Era avvolto in uno spesso mantello bianconero, che nascondeva la sua testa, il suo volto, la sua forma, e non lasciava all'occhio alcuna cosa visibile, se non una mano protesa.
A Scroogiotta, quando si pose al suo fianco, parve fosse stato in B. Non ne sapeva nulla più, ché lo Spirito non si muoveva, né parlava.

An Inter Carol - Il Fantasma dell'Inter a venire 1 Ranocchiate
Il fantasma dell'Inter a venire

«Sono per caso in compagnia del Fantasma dell'Inter a Venire?» chiese Scroogiotta.

Lo spirito non diede risposta, ma puntò in avanti con la mano.

«Stai per mostrarmi l'ombre di cose che non accaddero, ma accadranno nel tempo innanzi a noi», continuò Scroogiotta. «È forse così, o Spirito?».

La porzione superiore del mantello si contrasse un istante nelle sue stesse pieghe, come se lo Spirito avesse chinato il capo. Questa fu l'unica risposta che ricevette.

Sebbene ormai uso alla compagnia di spettri, Scroogiotta temette la figura silenziosa sì tanto che le sue gambe tremarono, e trovò che riusciva appena a tenersi in piedi, mentre si preparava a seguirlo. Lo Spirito stette per un momento, come ad osservare la sua condizione, e a dargli tempo per riaversi.

Ma Scroogiotta si sentì assai peggio a causa di ciò. Lo faceva fremere con vago e dubitante orrore il sapere che, dietro alla carceraria sindone, vi erano occhi spettrali fissati con insistenza su di lui, mentre, sebbene strizzasse i suoi all'inverosimile e ponesse l'occhio magico in ogni direzione, egli non poteva veder nulla se non una mano livida e una grande massa di nero pece e bianco sporco.

«O Fantasma del Futuro!» gridò, «Ti temo più di ogni altro spettro che abbia incontrato sinora. Ma conoscendo io che il tuo proposito è fare a me del bene, e sperando di sopravvivere per diventare un uomo migliore di quanto non fossi in precedenza, sono pronto a sopportare la tua compagnia. Puoi tu dunque parlarmi?».

Lo spettro non mandò risposta alcuna. La mano puntava ancora dritto innanzi a loro.

«Fa' strada!», disse Scroogiotta. «Fa' strada! La notte sta scappando celere, ed è tempo prezioso per me, ne son convinto. Fa' strada, o Spirito!».

Nemmeno parve che entrassero nella Città; invero, fu la Città a sembrare balzar loro vicino e circondarli di sua stessa volontà. Eppure, furono nel suo fulcro; all'Hotel Sheraton, in mezzo ai calciomercanti, che si affrettavano su e giù, e facevano tintinnare le monete nelle loro tasche piene, e parlottavano in gruppi, e lanciavano occhiate ai loro orologi, e si gingillavano pensierosamente con i loro grandi smartphone luminosi, e tante altre cose di questo tipo facevano, sì come Scroogiotta tante volte li aveva visti fare.

Lo Spirito si fermò al fianco d'un piccolo drappello di Direttori Sportivi. Notando che la sua mano era volta verso di loro, Scroogiotta avanzò per sentir cosa dicessero.

«No», disse un uomo grande e grosso con un enorme mento, «Non ne so molto, ad ogni modo. So solo che è stato radiato».

«Quando fu?», chiese un altro.

«La scorsa notte, credo».

«Ma perché, cosa ne fu di lui?», chiese un terzo, «Pensavo che non sarebbe mai stato condannato, con la prostituzione intellettuale che c'è in giro».

«Dio solo sa...», disse il primo, con uno sbadiglio.

«Che ne è stato dei suoi parametri zero?», chiese un gentiluomo rubizzo, con una pacchiana giacchetta da trafficante di #BDUN.

«Non ho sentito nulla a riguardo», disse l'uomo dal grosso mento, sbadigliando nuovamente. «Forse l'avrà svincolati. Tutto quel che so, è che non ne ha lasciati a me!».

Questa battuta fu accolta da una generale risata.

I parlanti e gli ascoltanti passeggiarono via di lì, e si mescolarono in altri gruppi. Scroogiotta li conosceva, e guardò lo Spirito, per cercarne una spiegazione.

Il Fantasma fluttuò avanti, verso un corridoio. Il suo dito puntò a due persone che stavano incontrandosi. Scroogiotta nuovamente si pose a sentire, pensando la spiegazione potesse trovarsi lì.

Conosceva anche questi uomini, perfettamente. Erano presidenti di due squadre di alta classifica: molto ricchi, e di grande importanza nel consiglio direttivo della FIGC.

«Come stai?», disse uno.

«Come stai tu?», rispose l'altro.

«Bene!», disse il primo, «Il vecchio balordo finalmente s'è beccato ciò che meritava, eh?»

«Così mi dicono», rispose il secondo. «Fa freddo oggi, nevvero?».

«Freddo di stagione, naturale in periodo natalizio. Non sei un granché abituato ad esser campione d'inverno, immagino».

«Assolutamente no, pensiamo ad altro, suvvia! Una buona giornata!».

Non un altra parola. Questo fu il loro incontro, la loro conversazione, e il loro arrivederci.

Scroogiotta all'inizio fu sorpreso che lo Spirito desse tale importanza a conversazioni apparentemente sì triviali; ma sentendosi sicuro del fatto che dovessero avere un qualche significato nascosto, si mise a riflettere su quale mai potesse essere quest'ultimo. Difficilmente potevano avere qualche relazione con la condanna di Lucjacob, il suo vecchio compare, poiché quello era Passato, e il quartiere d'esto spettro era il Futuro. Né poteva egli pensare d'alcuno a sé strettamente collegato a cui associarle. Ma mai dubitando che, a chiunque s'applicassero, avessero una qualche morale latente fatta per il suo bene, si convinse a far tesoro d'ogni parola ch'ebbe sentito, e di tutto ciò ch'ebbe visto; e specialmente si convinse d'osservare con attenzione la sua ombra, quand'essa sarebbe comparsa.

Gettò l'occhio magico in giro anche lì per trovare la sua immagine, ma un altro uomo stava nel suo solito angolo; e sebbene l'orologio puntasse l'ora in cui usualmente lui stava lì, non colse alcun somigliante a sé stesso nella folla che si riversò attraverso la porta girevole.

Lasciarono quei dintorni affollati, e si recarono in una parte oscura dell'albergo, dove Scroogiotta mai prima si era inoltrato, sebbene la riconoscesse e avesse nozione della sua cattiva fama. I corridoi erano stretti e malmessi; le sale conferenze fatiscenti; le persone invadenti, mal vestite, sciatte, volgari. I giornalisti, come tante latrine, vomitavano offensive zaffate di puzza e false indiscrezioni; insomma, la zona interviste di Sportitalia.

Molto addentro a questo antro d'infame calibro, mimetizzato tra la roba in cui stava grazie ad un completo pacchiano come il resto, c'era un giornalista occhialuto, di circa cinquant'anni di età, che si era circondato di giovani colleghe avvenenti a guisa di un ruffiano à la Berlusca.

Scroogiotta ed il fantasma arrivarono nei pressi di quell'uomo, giusto mentre un calciatore con un grosso plico di fogli gli si fece appresso. E non era quasi neppure arrivato che un altro, similmente conciato, giunse a sua volta; e fu prestamente seguito da un uomo vestito d'un nero consunto, che non fu meno indisposto dalla vista di quei due di quanto questi non lo furono dalla vista l'uno dell'altro. Dopo un breve periodo di silenzioso stupore, al quale si era aggiunto pure il ruffiano col microfono, tutti e tre scoppiarono in una risata.

«Sia l'ex #MITT a giungere per primo!» gridò il calciatore ch'era arrivato per primo. «Va bene pure che il #BDUN sia giunto per secondo; ma pure il procuratore che entra per terzo? Guarda qua, Criscitié, guarda che coincidenza! Ci siamo incontrati tutti qui per puro caso!».

«Non avreste potuto incontrarvi in un posto migliore», disse Criscitiello, togliendosi un pelucco dalla giacca. «Venite. È da parecchio che tratti questo posto come casa tua, sai; e pure gli altri due non sono dei novellini, qui. Aspettate, ché chiamo Pedullà. Ah! Occupato! Penso che non ci sia cellulare più rovente del suo, qui dentro; e son sicuro che non ci siano vallette più belle delle mie. Haha! Siamo tutti adatti alle nostre carriere, ci si abbinano bene. Venite, venite!».

L'ex #MITT che aveva già parlato riversò il suo carico al suolo, e si sedette in maniera civettuola su uno sgabello, incrociando le braccia, e guardando in maniera aggressiva gli altri due.

An Inter Carol - Il Fantasma dell'Inter a venire 2 Ranocchiate
Mrs Dilbert

«Che c'è, eh? Che c'è, Signor Dilbert?», disse il #BDUN. «Ognuno ha diritto a prendersi cura di se stesso. Lui l'ha sempre fatto!»

«Assolutamente, Çaner, è vero!», disse l'ex #MITT. «Nessun altro come lui».

«Ma allora, non fare occhiatacce come se facessimo paura! Non siamo mica qui per farci la guerra, no?»

«No, senza dubbio!», dissero il Signor Dilbert e il procuratore assieme.

«Bene, allora!», strillò Çaner Erkin. «Basta così. Chi si rammaricherà per la perdita di qualche cosuccia così? Non certo un radiato dall'albo, no?».

«Certo che no!», disse ridendo il Signor Dilbert.

«Se avesse voluto tenersele, quel vecchiaccio pelato», continuò il #BDUN, «Perché non si è comportato come la gente onesta? Se l'avesse fatto, avrebbe avuto qualcuno a prestargli assistenza quando la Procura se l'è preso, invece di starsene lì da solo, a rantolare "Sono innocente!"».

«Non c'è nulla di più vero», disse il Signor Dilbert. «È una giusta punizione per lui».

«Io speravo in una punizione un po' più pesante», rispose il #BDUN, «e sarebbe stato così, fidati, se avessi potuto mettere le mani su qualcos'altro. Leggi quei contratti, Criscitié, fammi sapere quanto valgono. Parla chiaro. Non ho paura d'esser il primo, né preoccupato che loro ne vedano il contenuto. Sapevamo tutti bene che eravamo a servirci della nostra porzione, prima di incontrarci qua, penso io. Non è far peccato. Apri il contratto, Michele».

Ma la galanteria dei suoi amici non lo permise; e il procuratore abbigliato di nero sbiadito, prendendo per primo in mano la situazione, mostrò il suo bottino. Non era niente di che. Uno o due primavera, un ex-campione con dei guai fisici, un paio di scaldapanca, e una promessa sudamericana di non grande valore, fine. Furono attentamente esaminati e soppesati dal ruffiano Criscitiello, che batté sul PC la notizia per pubblicarla, passandoli ad una valletta quando seppe che non vi era altro da vedere.

«Questo è quanto ti spetta per l'esclusiva», disse Criscitiello, «E non sarei disposto a scucire nemmeno un altro scellino, neanche sotto tortura. Chi è il prossimo?»

Il successivo era il Signor Dilbert. Un prestito con diritto di riscatto all'Atletico Madrid, un po' di bonus presenze, due anni in MLS raggiunta la scadenza e qualche altro benefit, lascito di quando un suo allenatore di qualche anno prima lo aveva definito FORTISSIMO. Il suo ammontare fu consegnato alla stessa maniera.

«Sono sempre di manica larga con i #MITT. È una mia debolezza, in questo modo finirò per rovinarmi», disse Criscitiello. «Questa è la tua somma. Se mi chiedessi un altro penny, e ti aprissi alla trattativa, mi pentirei di questa mia generosità, e tirerei via qualche zero dal totale».

«E ora sfoglia il mio contratto, Michele», disse Erkin.

Criscitiello si piegò ginocchioni per aver maggiore comodità nell'aprirlo, e trascinò fuori un grande e pesante fascicolo cartaceo.

«Come si chiama questo?», disse il presentatore, «Prestito biennale con obbligo?»

«Ah!», rispose il #BDUN, ridendo e inclinandosi in avanti sulle sue braccia. «Pure oneroso!».

«Non mi dirai certo che l'hai preso dalla sua scrivania, con carte bollate e tutto, e ci hai messo la tua firma!», disse Criscitiello.

«Ebbene sì», replicò Erkin, «Perché no? Ora per favore non far toccare quelle pagine alle tue veline».

«Un'opzione di rinnovo?», chiese Criscitiello.

«E che altro, sennò?», rispose Erkin.

«Ah! Potrai guardare quel contratto fino a cecarti, ma non vi troverai nemmanco una falla giuridica, né una clausola mancante. È il migliore che aveva, una cosa di lusso. L'avrebbero sprecato, non fosse stato per me».

«In che senso, sprecato?», disse il presentatore.

«Ma ovviamente stracciandolo, era fatto per Messi!», replicò Erkin, con una risata. «Qualcuno è stato abbastanza stupido da tentare di strapparlo al Barcellona senza pagare la clausola, ma io ho fatto la spia alla Liga che ha bloccato tutto».

Scroogiotta ascoltò questo dialogo inorridito. Mentre sedevano in gruppo intorno al loro bottino, nella calda luce dei riflettori, li guardò con un disprezzo ed un disgusto che difficilmente potevano esser più grandi, dato il loro comportarsi da demoni incarogniti, mercanteggiando con i documenti di un condannato.

«Haha!» rise lo stesso #BDUN quando Criscitiello, tirandolo fuori da una ventiquattrore piena di soldi, gli consegnò il suo malloppo. «Questo è il colmo, capite? Ha allontanato tutti da lui mentre era ancora in attività, giusto per farci guadagnare al giungere della sua condanna! Hahaha!».

«Spirito!», disse Scroogiotta, tremando dalla testa ai piedi. «Ho capito, ho capito. La sorte di questo infelice potrebbe essere la mia. La mia vita tende a questo, ad oggi. O Santo Cielo, cos'è tutto ciò?».

«Mostrami un po' di commozione che si addica ad una sciagura di questo livello, ti prego», disse Scroogiotta.

Il Fantasma lo condusse attraverso numerose strade familiari alle sue scarpe; e mentre le percorrevano, Scroogiotta guardava di qua e di là per riconoscere il futuro sé, ma non si trovava da nessuna parte. Entrarono nella casa di Peter Auscratchit, la dimora che aveva visitato in precedenza; e vi trovarono moglie e giovani MITTini, accoccolati intorno al focolare.

Silenziosi. Molto silenziosi. I vivaci piccoli MITTini erano fermi come statue in un angolo, sedevano di fronte al giovane Lautaro, che aveva un libro davanti a sé. La moglie era concentrata a ricamare una maglia nerazzurra col numero 12.

«E scelse un #MITT, e lo pose in campo».

Dov'è che Scroogiotta aveva sentito quelle parole? Di sicuro non se l'era sognate. Il ragazzo doveva averle lette ad alta voce mentre lui e lo Spirito stavano attraversando la soglia. Perché non aveva proseguito?

La madre pose il suo ricamo sul tavolo, e si portò la mano al volto.

«Il numero mi fa male agli occhi», disse.

Il numero? Ah, povero piccolo Stefy!

«Ora stanno già meglio», riprese la moglie di Auscratchit. «Forse li rende deboli se illuminato da una candela; e non mostrerei occhi deboli per nulla al mondo al vostro DS quando tornerà. Dovrebbe arrivare a breve»

«Dovrebbe essere già arrivato», rispose Lauti, chiudendo il suo libro. «Ma penso che stia camminando un po' più lentamente del solito, di recente».

Furono muti di nuovo. Finalmente lei disse, con una voce ferma e squillante, che sobbalzò solo una volta: «Quando camminava con... Quando camminava col piccolo Stefy al suo fianco, lo vedevo andare molto velocemente»

«Anche io», gridò Lauti, «Spesso».

«Anch'io!», esclamò un altro. L'avevano visto tutti.

«Ma era molto piccolo e svelto», continuò lei, presa dal suo daffare, «E Peter gli voleva bene, per cui non era difficile, per nulla. Ecco il Direttore alla porta!».

Corse fuori ad incontrarlo; e il piccolo Auscratchit, col suo fazzoletto al collo – ne aveva bisogno, poverino – entrò. Il suo tè era pronto per lui accanto al fuoco, e tutti fecero a gara nel metterlo a suo agio.

Peter fu molto allegro con loro, e parlò affabilmente con tutti. Guardò l'opera di ricamo sul tavolo, e lodò la bravura e la rapidità della signora Auscratchit. Avrebbe finito ben prima di domenica, di questo passo, disse.

«Domenica! Ma allora sei andato oggi, Peter?», chiese sua moglie.

«Sì, mia cara», rispose Peter. «Volevo portarti con me. Ti avrebbe scaldato il cuore vedere quanto verde c'è in quel centro di riabilitazione. Ma lo vedrai spesso. Gli ho promesso che vi sarei passato di domenica. Il mio piccolo, il mio bambino!», gridò Peter, «Il mio bambino!».

Si spezzò di colpo. Non riusciva a trattenersi. Se avesse potuto, forse il rapporto che aveva col suo MITTino non sarebbe stato speciale com'era.

Uscì dalla stanza, e salì per le scale verso la stanza di sopra, che era illuminata a festa e decorata per Natale. Il povero Peter si sedette, e dopo aver pensato un po', tornato in sé, si rassegnò a quanto era successo, e tornò di sotto, un po' più allegro.

Si radunarono intorno al fuoco e parlarono, mentre la madre ancora era dedita al ricamo. Peter parlò loro della straordinaria gentilezza del nipote del signor Scroogiotta, Javred, che aveva incontrato poco più di una volta, ma che, essendosi imbattuto in lui per strada quel giorno, e avendo visto che sembrava – «Un po' giù di morale, sai?», riportò Peter, chiese cosa fosse accaduto per consolarlo. «Al che», disse Peter, «Poiché è il più piacevole conversatore mai sentito, gliel'ho detto. "Sono dispiaciutissimo di questo, signor Auscratchit", ha detto, "Anche per la sua buona moglie". A proposito, come sapesse di questo, non ne ho idea.»

«Sapesse cosa, caro?»

«Beh, che sei una buona moglie», rispose Peter.

«Lo sanno tutti questo», disse il giovane Lautaro.

«Ben detto, ragazzo mio!», esclamò Peter, «Non sei per niente come Wanda Nara. Spero proprio lo sappiano tutti. "Dispiaciutissimo", ha detto, "Per la sua buona moglie. Se posso esservi d'aiuto in qualunque modo", ha detto, dandomi un biglietto da visita, "Ecco l'indirizzo di un bravo medico. Un tempo lavorava da noi... Vi prego di dirgli che vi mando io, quandomai ci andaste". Ora, non proprio perché», disse Peter, «Ci fosse qualcosa che costui possa far per noi più di quanto non sia già stato fatto, ma per i modi gentili del Signor Javred, questo dire fu davvero piacevole. Davvero è sembrato che avesse a cuore il piccolo Stefy, e fosse molto dispiaciuto per noi.»

«Sono sicura che è una brava persona!», disse la signora Auscratchit.

«Ne saresti più che certa, mia cara», rispose Bob, «Se l'avessi incontrato e gli avessi parlato. Non sarei per nulla sorpreso, in verità, se trovasse un buon posto per Lauti».

«Senti, senti bene, Lauti!», disse la signora Auscratchit.

«Può succedere come non succedere», disse Peter, «Nel prossimo futuro; ma comunque c'è un sacco di tempo per pensarci, mio caro. E poi, quandunque e comunque ci separeremo, sono sicuro che nessuno di noi si scorderà del piccolo Stefy, no?»

«Giammai!», esclamarono tutti.

«E sono sicuro», continuò, «Sono sicuro, miei cari, che quando ci ricorderemo quanto era mite e paziente, sebbene fosse un MITTino piccolo, piccolissimo, non scateneremo facilmente litigi tra di noi, dimenticandoci di lui nel farlo»

«No, mai!», gridarono tutti nuovamente.

«Ne sono felice», disse Peter, «Ne sono molto felice!».

La signora Auscratchit gli diede un bacio, e Lauti e gli altri MITTini gli strinsero la mano. Piccolo Stefy, l'essenza del tuo talento era divinamente pura!

«Spettro», disse Scroogiotta, «Qualcosa mi dice che ci separeremo presto. Lo so ma non so come lo so. Dimmi, chi è quell'uomo di cui abbiamo appreso la condanna?».

Il Fantasma dell'Inter a Venire lo portò (sebbene in un momento diverso, pensò: sembrava davvero non ci fosse un esatto ordine temporale in queste ultime visioni, a parte il fatto ch'erano nel Futuro) nel Centro Sportivo di Appiano Gentile, ma non gli mostrò il futuro sé. Invero, lo Spirito non si fermò un secondo, ma proseguì immediatamente, verso la meta appena richiesta, finché Scroogiotta non lo pregò di rallentare per un momento.

«Questo centro sportivo», disse Scroogiotta, «attraverso cui corriamo ora, è dove io lavoro, e ho lavorato per molto tempo. Vedo il mio ufficio. Lasciami osservare cosa starò facendo nel futuro».

Lo Spirito si fermò; la mano era puntata in un'altra direzione.

«Il punto è là», esclamò Scroogiotta. «Perché indichi da un'altra parte?».

La figura inesorabile non cambiò posizione.

Scroogiotta si affrettò ad affacciarsi alla finestra del suo ufficio, e guardò dentro. Era ancora un ufficio, ma non il suo. Il mobilio era diverso, e la sagoma seduta allo scrittoio non era la sua. Il Fantasma continuava a indicare lo stesso punto di prima.

Gli si riavvicinò, e, immaginando perché e dove avesse spostato il suo ufficio, lo accompagnò fino a raggiungere un cancello di ferro. Si fermò per guardarsi intorno prima di varcarlo.

Un carcere. Era qui, dunque, che l'uomo balordo di cui ancora non aveva appreso il nome veniva custodito. Un posto degno. Circondato da edifici e da erbacce, vegetazione morta, non rigogliosa; grasso, ma insaziabile; davvero un posto degno!

Lo Spirito si ergeva tra le celle, e puntò a destra, verso di una in particolare. Scroogiotta avanzò verso di questa, tremando. Il Fantasma appariva esattamente come prima, ma Scroogiotta fu colto da terrore nel comprendere un nuovo significato, nella sua figura solenne.

«Prima che mi avvicini a quella cella che indichi», disse, «Rispondi a una mia domanda. Sono queste forse l'ombre delle cose che saranno, o solo delle cose che potrebbero essere?».

Ancora, il Fantasma indicava a destra, verso la cella presso cui stava.

«Le vite degli uomini preannunciano certe destinazioni, a cui, se questi perseverano, di certo giungeranno», disse Scroogiotta. «Ma se le vite vengono cambiate, anche le destinazioni cambieranno. Dimmi che ciò vale per quel che mi mostri!».

Lo Spirito stava immobile, come sempre.

Scroogiotta si trascinò verso di lui, tremando nel farlo; e, seguendo il dito, lesse sul muro della cella il suo nome, BEPPENEEZER SCROOGIOTTA.

«Sono io colui che verrà radiato?», gridò gettandosi in ginocchio.

Il dito indicò dalla cella verso di lui, e di nuovo poi verso di essa.

«No, Spirito! Oh, no, no!».

Il dito era ancora lì.

«Spirito!» gridò, aggrappandosi stretto al suo mantello, «Ascoltami! Non sono più l'uomo che ero. Non sarò l'uomo che devo esser stato per aver raggiunto questa fine. Perché mostrarmi questo destino, se non posso più farci nulla?».

Per la prima volta, la mano sembrò barcollare.

«O Spirito buono», continuò prostrandosi a terra davanti a lui, «La tua natura intercede per me, ti commuovi per me. Assicurami che posso ancora cambiare queste cose che mi hai mostrato, cambiando vita!».

La mano gentile tremò.

«Onorerò l'Inter in cuor mio, cercherò d'esser buono tutto l'anno. Apprezzerò i MITT del Passato, del Presente, del Futuro. Voi tre Spiriti sarete al mio fianco. Non dimenticherò le lezioni che m'avete insegnato. Oh, dimmi che riuscirò a cancellare la scritta su questa parete!».

Nella sua sofferenza afferrò la mano spettrale. Lo Spirito tentò di divincolarsi, ma lui strinse forte, e resistette. Lo Spirito, con ancor più forza, lo respinse.

Tenendo le mani in su per scongiurare un'ultima volta di poter cambiare il suo destino, vide il cappuccio ed il mantello del Fantasma alterarsi. Lo Spirito rimpicciolì, collassò e si trasformò in un piede di letto.

CONTINUA...

Ideazione e Supervisione: Vincenzo Aversa
Illustrazioni e testi a cura di Andrea Pisani

An Inter Carol - Il Fantasma dell'Inter a venire

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Il Fantasma si avvicinò lentamente, pesantemente, silenziosamente. Quando gli fu vicino, Scroogiotta si prostrò ginocchioni di fronte a lui, poiché l'aria stessa che questo Spirito spostava sembrava spargere corruzione e finali di Champions perse.

Era avvolto in uno spesso mantello bianconero, che nascondeva la sua testa, il suo volto, la sua forma, e non lasciava all'occhio alcuna cosa visibile, se non una mano protesa.
A Scroogiotta, quando si pose al suo fianco, parve fosse stato in B. Non ne sapeva nulla più, ché lo Spirito non si muoveva, né parlava.

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Il fantasma dell'Inter a venire

«Sono per caso in compagnia del Fantasma dell'Inter a Venire?» chiese Scroogiotta.

Lo spirito non diede risposta, ma puntò in avanti con la mano.

«Stai per mostrarmi l'ombre di cose che non accaddero, ma accadranno nel tempo innanzi a noi», continuò Scroogiotta. «È forse così, o Spirito?».

La porzione superiore del mantello si contrasse un istante nelle sue stesse pieghe, come se lo Spirito avesse chinato il capo. Questa fu l'unica risposta che ricevette.

Sebbene ormai uso alla compagnia di spettri, Scroogiotta temette la figura silenziosa sì tanto che le sue gambe tremarono, e trovò che riusciva appena a tenersi in piedi, mentre si preparava a seguirlo. Lo Spirito stette per un momento, come ad osservare la sua condizione, e a dargli tempo per riaversi.

Ma Scroogiotta si sentì assai peggio a causa di ciò. Lo faceva fremere con vago e dubitante orrore il sapere che, dietro alla carceraria sindone, vi erano occhi spettrali fissati con insistenza su di lui, mentre, sebbene strizzasse i suoi all'inverosimile e ponesse l'occhio magico in ogni direzione, egli non poteva veder nulla se non una mano livida e una grande massa di nero pece e bianco sporco.

«O Fantasma del Futuro!» gridò, «Ti temo più di ogni altro spettro che abbia incontrato sinora. Ma conoscendo io che il tuo proposito è fare a me del bene, e sperando di sopravvivere per diventare un uomo migliore di quanto non fossi in precedenza, sono pronto a sopportare la tua compagnia. Puoi tu dunque parlarmi?».

Lo spettro non mandò risposta alcuna. La mano puntava ancora dritto innanzi a loro.

«Fa' strada!», disse Scroogiotta. «Fa' strada! La notte sta scappando celere, ed è tempo prezioso per me, ne son convinto. Fa' strada, o Spirito!».

Nemmeno parve che entrassero nella Città; invero, fu la Città a sembrare balzar loro vicino e circondarli di sua stessa volontà. Eppure, furono nel suo fulcro; all'Hotel Sheraton, in mezzo ai calciomercanti, che si affrettavano su e giù, e facevano tintinnare le monete nelle loro tasche piene, e parlottavano in gruppi, e lanciavano occhiate ai loro orologi, e si gingillavano pensierosamente con i loro grandi smartphone luminosi, e tante altre cose di questo tipo facevano, sì come Scroogiotta tante volte li aveva visti fare.

Lo Spirito si fermò al fianco d'un piccolo drappello di Direttori Sportivi. Notando che la sua mano era volta verso di loro, Scroogiotta avanzò per sentir cosa dicessero.

«No», disse un uomo grande e grosso con un enorme mento, «Non ne so molto, ad ogni modo. So solo che è stato radiato».

«Quando fu?», chiese un altro.

«La scorsa notte, credo».

«Ma perché, cosa ne fu di lui?», chiese un terzo, «Pensavo che non sarebbe mai stato condannato, con la prostituzione intellettuale che c'è in giro».

«Dio solo sa...», disse il primo, con uno sbadiglio.

«Che ne è stato dei suoi parametri zero?», chiese un gentiluomo rubizzo, con una pacchiana giacchetta da trafficante di #BDUN.

«Non ho sentito nulla a riguardo», disse l'uomo dal grosso mento, sbadigliando nuovamente. «Forse l'avrà svincolati. Tutto quel che so, è che non ne ha lasciati a me!».

Questa battuta fu accolta da una generale risata.

I parlanti e gli ascoltanti passeggiarono via di lì, e si mescolarono in altri gruppi. Scroogiotta li conosceva, e guardò lo Spirito, per cercarne una spiegazione.

Il Fantasma fluttuò avanti, verso un corridoio. Il suo dito puntò a due persone che stavano incontrandosi. Scroogiotta nuovamente si pose a sentire, pensando la spiegazione potesse trovarsi lì.

Conosceva anche questi uomini, perfettamente. Erano presidenti di due squadre di alta classifica: molto ricchi, e di grande importanza nel consiglio direttivo della FIGC.

«Come stai?», disse uno.

«Come stai tu?», rispose l'altro.

«Bene!», disse il primo, «Il vecchio balordo finalmente s'è beccato ciò che meritava, eh?»

«Così mi dicono», rispose il secondo. «Fa freddo oggi, nevvero?».

«Freddo di stagione, naturale in periodo natalizio. Non sei un granché abituato ad esser campione d'inverno, immagino».

«Assolutamente no, pensiamo ad altro, suvvia! Una buona giornata!».

Non un altra parola. Questo fu il loro incontro, la loro conversazione, e il loro arrivederci.

Scroogiotta all'inizio fu sorpreso che lo Spirito desse tale importanza a conversazioni apparentemente sì triviali; ma sentendosi sicuro del fatto che dovessero avere un qualche significato nascosto, si mise a riflettere su quale mai potesse essere quest'ultimo. Difficilmente potevano avere qualche relazione con la condanna di Lucjacob, il suo vecchio compare, poiché quello era Passato, e il quartiere d'esto spettro era il Futuro. Né poteva egli pensare d'alcuno a sé strettamente collegato a cui associarle. Ma mai dubitando che, a chiunque s'applicassero, avessero una qualche morale latente fatta per il suo bene, si convinse a far tesoro d'ogni parola ch'ebbe sentito, e di tutto ciò ch'ebbe visto; e specialmente si convinse d'osservare con attenzione la sua ombra, quand'essa sarebbe comparsa.

Gettò l'occhio magico in giro anche lì per trovare la sua immagine, ma un altro uomo stava nel suo solito angolo; e sebbene l'orologio puntasse l'ora in cui usualmente lui stava lì, non colse alcun somigliante a sé stesso nella folla che si riversò attraverso la porta girevole.

Lasciarono quei dintorni affollati, e si recarono in una parte oscura dell'albergo, dove Scroogiotta mai prima si era inoltrato, sebbene la riconoscesse e avesse nozione della sua cattiva fama. I corridoi erano stretti e malmessi; le sale conferenze fatiscenti; le persone invadenti, mal vestite, sciatte, volgari. I giornalisti, come tante latrine, vomitavano offensive zaffate di puzza e false indiscrezioni; insomma, la zona interviste di Sportitalia.

Molto addentro a questo antro d'infame calibro, mimetizzato tra la roba in cui stava grazie ad un completo pacchiano come il resto, c'era un giornalista occhialuto, di circa cinquant'anni di età, che si era circondato di giovani colleghe avvenenti a guisa di un ruffiano à la Berlusca.

Scroogiotta ed il fantasma arrivarono nei pressi di quell'uomo, giusto mentre un calciatore con un grosso plico di fogli gli si fece appresso. E non era quasi neppure arrivato che un altro, similmente conciato, giunse a sua volta; e fu prestamente seguito da un uomo vestito d'un nero consunto, che non fu meno indisposto dalla vista di quei due di quanto questi non lo furono dalla vista l'uno dell'altro. Dopo un breve periodo di silenzioso stupore, al quale si era aggiunto pure il ruffiano col microfono, tutti e tre scoppiarono in una risata.

«Sia l'ex #MITT a giungere per primo!» gridò il calciatore ch'era arrivato per primo. «Va bene pure che il #BDUN sia giunto per secondo; ma pure il procuratore che entra per terzo? Guarda qua, Criscitié, guarda che coincidenza! Ci siamo incontrati tutti qui per puro caso!».

«Non avreste potuto incontrarvi in un posto migliore», disse Criscitiello, togliendosi un pelucco dalla giacca. «Venite. È da parecchio che tratti questo posto come casa tua, sai; e pure gli altri due non sono dei novellini, qui. Aspettate, ché chiamo Pedullà. Ah! Occupato! Penso che non ci sia cellulare più rovente del suo, qui dentro; e son sicuro che non ci siano vallette più belle delle mie. Haha! Siamo tutti adatti alle nostre carriere, ci si abbinano bene. Venite, venite!».

L'ex #MITT che aveva già parlato riversò il suo carico al suolo, e si sedette in maniera civettuola su uno sgabello, incrociando le braccia, e guardando in maniera aggressiva gli altri due.

An Inter Carol - Il Fantasma dell'Inter a venire 4 Ranocchiate
Mrs Dilbert

«Che c'è, eh? Che c'è, Signor Dilbert?», disse il #BDUN. «Ognuno ha diritto a prendersi cura di se stesso. Lui l'ha sempre fatto!»

«Assolutamente, Çaner, è vero!», disse l'ex #MITT. «Nessun altro come lui».

«Ma allora, non fare occhiatacce come se facessimo paura! Non siamo mica qui per farci la guerra, no?»

«No, senza dubbio!», dissero il Signor Dilbert e il procuratore assieme.

«Bene, allora!», strillò Çaner Erkin. «Basta così. Chi si rammaricherà per la perdita di qualche cosuccia così? Non certo un radiato dall'albo, no?».

«Certo che no!», disse ridendo il Signor Dilbert.

«Se avesse voluto tenersele, quel vecchiaccio pelato», continuò il #BDUN, «Perché non si è comportato come la gente onesta? Se l'avesse fatto, avrebbe avuto qualcuno a prestargli assistenza quando la Procura se l'è preso, invece di starsene lì da solo, a rantolare "Sono innocente!"».

«Non c'è nulla di più vero», disse il Signor Dilbert. «È una giusta punizione per lui».

«Io speravo in una punizione un po' più pesante», rispose il #BDUN, «e sarebbe stato così, fidati, se avessi potuto mettere le mani su qualcos'altro. Leggi quei contratti, Criscitié, fammi sapere quanto valgono. Parla chiaro. Non ho paura d'esser il primo, né preoccupato che loro ne vedano il contenuto. Sapevamo tutti bene che eravamo a servirci della nostra porzione, prima di incontrarci qua, penso io. Non è far peccato. Apri il contratto, Michele».

Ma la galanteria dei suoi amici non lo permise; e il procuratore abbigliato di nero sbiadito, prendendo per primo in mano la situazione, mostrò il suo bottino. Non era niente di che. Uno o due primavera, un ex-campione con dei guai fisici, un paio di scaldapanca, e una promessa sudamericana di non grande valore, fine. Furono attentamente esaminati e soppesati dal ruffiano Criscitiello, che batté sul PC la notizia per pubblicarla, passandoli ad una valletta quando seppe che non vi era altro da vedere.

«Questo è quanto ti spetta per l'esclusiva», disse Criscitiello, «E non sarei disposto a scucire nemmeno un altro scellino, neanche sotto tortura. Chi è il prossimo?»

Il successivo era il Signor Dilbert. Un prestito con diritto di riscatto all'Atletico Madrid, un po' di bonus presenze, due anni in MLS raggiunta la scadenza e qualche altro benefit, lascito di quando un suo allenatore di qualche anno prima lo aveva definito FORTISSIMO. Il suo ammontare fu consegnato alla stessa maniera.

«Sono sempre di manica larga con i #MITT. È una mia debolezza, in questo modo finirò per rovinarmi», disse Criscitiello. «Questa è la tua somma. Se mi chiedessi un altro penny, e ti aprissi alla trattativa, mi pentirei di questa mia generosità, e tirerei via qualche zero dal totale».

«E ora sfoglia il mio contratto, Michele», disse Erkin.

Criscitiello si piegò ginocchioni per aver maggiore comodità nell'aprirlo, e trascinò fuori un grande e pesante fascicolo cartaceo.

«Come si chiama questo?», disse il presentatore, «Prestito biennale con obbligo?»

«Ah!», rispose il #BDUN, ridendo e inclinandosi in avanti sulle sue braccia. «Pure oneroso!».

«Non mi dirai certo che l'hai preso dalla sua scrivania, con carte bollate e tutto, e ci hai messo la tua firma!», disse Criscitiello.

«Ebbene sì», replicò Erkin, «Perché no? Ora per favore non far toccare quelle pagine alle tue veline».

«Un'opzione di rinnovo?», chiese Criscitiello.

«E che altro, sennò?», rispose Erkin.

«Ah! Potrai guardare quel contratto fino a cecarti, ma non vi troverai nemmanco una falla giuridica, né una clausola mancante. È il migliore che aveva, una cosa di lusso. L'avrebbero sprecato, non fosse stato per me».

«In che senso, sprecato?», disse il presentatore.

«Ma ovviamente stracciandolo, era fatto per Messi!», replicò Erkin, con una risata. «Qualcuno è stato abbastanza stupido da tentare di strapparlo al Barcellona senza pagare la clausola, ma io ho fatto la spia alla Liga che ha bloccato tutto».

Scroogiotta ascoltò questo dialogo inorridito. Mentre sedevano in gruppo intorno al loro bottino, nella calda luce dei riflettori, li guardò con un disprezzo ed un disgusto che difficilmente potevano esser più grandi, dato il loro comportarsi da demoni incarogniti, mercanteggiando con i documenti di un condannato.

«Haha!» rise lo stesso #BDUN quando Criscitiello, tirandolo fuori da una ventiquattrore piena di soldi, gli consegnò il suo malloppo. «Questo è il colmo, capite? Ha allontanato tutti da lui mentre era ancora in attività, giusto per farci guadagnare al giungere della sua condanna! Hahaha!».

«Spirito!», disse Scroogiotta, tremando dalla testa ai piedi. «Ho capito, ho capito. La sorte di questo infelice potrebbe essere la mia. La mia vita tende a questo, ad oggi. O Santo Cielo, cos'è tutto ciò?».

«Mostrami un po' di commozione che si addica ad una sciagura di questo livello, ti prego», disse Scroogiotta.

Il Fantasma lo condusse attraverso numerose strade familiari alle sue scarpe; e mentre le percorrevano, Scroogiotta guardava di qua e di là per riconoscere il futuro sé, ma non si trovava da nessuna parte. Entrarono nella casa di Peter Auscratchit, la dimora che aveva visitato in precedenza; e vi trovarono moglie e giovani MITTini, accoccolati intorno al focolare.

Silenziosi. Molto silenziosi. I vivaci piccoli MITTini erano fermi come statue in un angolo, sedevano di fronte al giovane Lautaro, che aveva un libro davanti a sé. La moglie era concentrata a ricamare una maglia nerazzurra col numero 12.

«E scelse un #MITT, e lo pose in campo».

Dov'è che Scroogiotta aveva sentito quelle parole? Di sicuro non se l'era sognate. Il ragazzo doveva averle lette ad alta voce mentre lui e lo Spirito stavano attraversando la soglia. Perché non aveva proseguito?

La madre pose il suo ricamo sul tavolo, e si portò la mano al volto.

«Il numero mi fa male agli occhi», disse.

Il numero? Ah, povero piccolo Stefy!

«Ora stanno già meglio», riprese la moglie di Auscratchit. «Forse li rende deboli se illuminato da una candela; e non mostrerei occhi deboli per nulla al mondo al vostro DS quando tornerà. Dovrebbe arrivare a breve»

«Dovrebbe essere già arrivato», rispose Lauti, chiudendo il suo libro. «Ma penso che stia camminando un po' più lentamente del solito, di recente».

Furono muti di nuovo. Finalmente lei disse, con una voce ferma e squillante, che sobbalzò solo una volta: «Quando camminava con... Quando camminava col piccolo Stefy al suo fianco, lo vedevo andare molto velocemente»

«Anche io», gridò Lauti, «Spesso».

«Anch'io!», esclamò un altro. L'avevano visto tutti.

«Ma era molto piccolo e svelto», continuò lei, presa dal suo daffare, «E Peter gli voleva bene, per cui non era difficile, per nulla. Ecco il Direttore alla porta!».

Corse fuori ad incontrarlo; e il piccolo Auscratchit, col suo fazzoletto al collo – ne aveva bisogno, poverino – entrò. Il suo tè era pronto per lui accanto al fuoco, e tutti fecero a gara nel metterlo a suo agio.

Peter fu molto allegro con loro, e parlò affabilmente con tutti. Guardò l'opera di ricamo sul tavolo, e lodò la bravura e la rapidità della signora Auscratchit. Avrebbe finito ben prima di domenica, di questo passo, disse.

«Domenica! Ma allora sei andato oggi, Peter?», chiese sua moglie.

«Sì, mia cara», rispose Peter. «Volevo portarti con me. Ti avrebbe scaldato il cuore vedere quanto verde c'è in quel centro di riabilitazione. Ma lo vedrai spesso. Gli ho promesso che vi sarei passato di domenica. Il mio piccolo, il mio bambino!», gridò Peter, «Il mio bambino!».

Si spezzò di colpo. Non riusciva a trattenersi. Se avesse potuto, forse il rapporto che aveva col suo MITTino non sarebbe stato speciale com'era.

Uscì dalla stanza, e salì per le scale verso la stanza di sopra, che era illuminata a festa e decorata per Natale. Il povero Peter si sedette, e dopo aver pensato un po', tornato in sé, si rassegnò a quanto era successo, e tornò di sotto, un po' più allegro.

Si radunarono intorno al fuoco e parlarono, mentre la madre ancora era dedita al ricamo. Peter parlò loro della straordinaria gentilezza del nipote del signor Scroogiotta, Javred, che aveva incontrato poco più di una volta, ma che, essendosi imbattuto in lui per strada quel giorno, e avendo visto che sembrava – «Un po' giù di morale, sai?», riportò Peter, chiese cosa fosse accaduto per consolarlo. «Al che», disse Peter, «Poiché è il più piacevole conversatore mai sentito, gliel'ho detto. "Sono dispiaciutissimo di questo, signor Auscratchit", ha detto, "Anche per la sua buona moglie". A proposito, come sapesse di questo, non ne ho idea.»

«Sapesse cosa, caro?»

«Beh, che sei una buona moglie», rispose Peter.

«Lo sanno tutti questo», disse il giovane Lautaro.

«Ben detto, ragazzo mio!», esclamò Peter, «Non sei per niente come Wanda Nara. Spero proprio lo sappiano tutti. "Dispiaciutissimo", ha detto, "Per la sua buona moglie. Se posso esservi d'aiuto in qualunque modo", ha detto, dandomi un biglietto da visita, "Ecco l'indirizzo di un bravo medico. Un tempo lavorava da noi... Vi prego di dirgli che vi mando io, quandomai ci andaste". Ora, non proprio perché», disse Peter, «Ci fosse qualcosa che costui possa far per noi più di quanto non sia già stato fatto, ma per i modi gentili del Signor Javred, questo dire fu davvero piacevole. Davvero è sembrato che avesse a cuore il piccolo Stefy, e fosse molto dispiaciuto per noi.»

«Sono sicura che è una brava persona!», disse la signora Auscratchit.

«Ne saresti più che certa, mia cara», rispose Bob, «Se l'avessi incontrato e gli avessi parlato. Non sarei per nulla sorpreso, in verità, se trovasse un buon posto per Lauti».

«Senti, senti bene, Lauti!», disse la signora Auscratchit.

«Può succedere come non succedere», disse Peter, «Nel prossimo futuro; ma comunque c'è un sacco di tempo per pensarci, mio caro. E poi, quandunque e comunque ci separeremo, sono sicuro che nessuno di noi si scorderà del piccolo Stefy, no?»

«Giammai!», esclamarono tutti.

«E sono sicuro», continuò, «Sono sicuro, miei cari, che quando ci ricorderemo quanto era mite e paziente, sebbene fosse un MITTino piccolo, piccolissimo, non scateneremo facilmente litigi tra di noi, dimenticandoci di lui nel farlo»

«No, mai!», gridarono tutti nuovamente.

«Ne sono felice», disse Peter, «Ne sono molto felice!».

La signora Auscratchit gli diede un bacio, e Lauti e gli altri MITTini gli strinsero la mano. Piccolo Stefy, l'essenza del tuo talento era divinamente pura!

«Spettro», disse Scroogiotta, «Qualcosa mi dice che ci separeremo presto. Lo so ma non so come lo so. Dimmi, chi è quell'uomo di cui abbiamo appreso la condanna?».

Il Fantasma dell'Inter a Venire lo portò (sebbene in un momento diverso, pensò: sembrava davvero non ci fosse un esatto ordine temporale in queste ultime visioni, a parte il fatto ch'erano nel Futuro) nel Centro Sportivo di Appiano Gentile, ma non gli mostrò il futuro sé. Invero, lo Spirito non si fermò un secondo, ma proseguì immediatamente, verso la meta appena richiesta, finché Scroogiotta non lo pregò di rallentare per un momento.

«Questo centro sportivo», disse Scroogiotta, «attraverso cui corriamo ora, è dove io lavoro, e ho lavorato per molto tempo. Vedo il mio ufficio. Lasciami osservare cosa starò facendo nel futuro».

Lo Spirito si fermò; la mano era puntata in un'altra direzione.

«Il punto è là», esclamò Scroogiotta. «Perché indichi da un'altra parte?».

La figura inesorabile non cambiò posizione.

Scroogiotta si affrettò ad affacciarsi alla finestra del suo ufficio, e guardò dentro. Era ancora un ufficio, ma non il suo. Il mobilio era diverso, e la sagoma seduta allo scrittoio non era la sua. Il Fantasma continuava a indicare lo stesso punto di prima.

Gli si riavvicinò, e, immaginando perché e dove avesse spostato il suo ufficio, lo accompagnò fino a raggiungere un cancello di ferro. Si fermò per guardarsi intorno prima di varcarlo.

Un carcere. Era qui, dunque, che l'uomo balordo di cui ancora non aveva appreso il nome veniva custodito. Un posto degno. Circondato da edifici e da erbacce, vegetazione morta, non rigogliosa; grasso, ma insaziabile; davvero un posto degno!

Lo Spirito si ergeva tra le celle, e puntò a destra, verso di una in particolare. Scroogiotta avanzò verso di questa, tremando. Il Fantasma appariva esattamente come prima, ma Scroogiotta fu colto da terrore nel comprendere un nuovo significato, nella sua figura solenne.

«Prima che mi avvicini a quella cella che indichi», disse, «Rispondi a una mia domanda. Sono queste forse l'ombre delle cose che saranno, o solo delle cose che potrebbero essere?».

Ancora, il Fantasma indicava a destra, verso la cella presso cui stava.

«Le vite degli uomini preannunciano certe destinazioni, a cui, se questi perseverano, di certo giungeranno», disse Scroogiotta. «Ma se le vite vengono cambiate, anche le destinazioni cambieranno. Dimmi che ciò vale per quel che mi mostri!».

Lo Spirito stava immobile, come sempre.

Scroogiotta si trascinò verso di lui, tremando nel farlo; e, seguendo il dito, lesse sul muro della cella il suo nome, BEPPENEEZER SCROOGIOTTA.

«Sono io colui che verrà radiato?», gridò gettandosi in ginocchio.

Il dito indicò dalla cella verso di lui, e di nuovo poi verso di essa.

«No, Spirito! Oh, no, no!».

Il dito era ancora lì.

«Spirito!» gridò, aggrappandosi stretto al suo mantello, «Ascoltami! Non sono più l'uomo che ero. Non sarò l'uomo che devo esser stato per aver raggiunto questa fine. Perché mostrarmi questo destino, se non posso più farci nulla?».

Per la prima volta, la mano sembrò barcollare.

«O Spirito buono», continuò prostrandosi a terra davanti a lui, «La tua natura intercede per me, ti commuovi per me. Assicurami che posso ancora cambiare queste cose che mi hai mostrato, cambiando vita!».

La mano gentile tremò.

«Onorerò l'Inter in cuor mio, cercherò d'esser buono tutto l'anno. Apprezzerò i MITT del Passato, del Presente, del Futuro. Voi tre Spiriti sarete al mio fianco. Non dimenticherò le lezioni che m'avete insegnato. Oh, dimmi che riuscirò a cancellare la scritta su questa parete!».

Nella sua sofferenza afferrò la mano spettrale. Lo Spirito tentò di divincolarsi, ma lui strinse forte, e resistette. Lo Spirito, con ancor più forza, lo respinse.

Tenendo le mani in su per scongiurare un'ultima volta di poter cambiare il suo destino, vide il cappuccio ed il mantello del Fantasma alterarsi. Lo Spirito rimpicciolì, collassò e si trasformò in un piede di letto.

CONTINUA...

Ideazione e Supervisione: Vincenzo Aversa
Illustrazioni e testi a cura di Andrea Pisani

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