Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini

“FIVE EPIC MOMENTS” è una rubrica che scatta le cinque istantanee che legano a filo diretto un calciatore o un allenatore dal trascorso interista e il cuore malato di noi ranocchi dello stagno.
Ogni nerazzurro, nel bene o nel male, lascia qualcosa ai suoi ex tifosi; che siano gioie o dolori poco importa, tanto finirà sempre tutto in una valle di lacrime. È solo questione di tempo.

Per farvi un esempio, Gabigol è stato presentato con la stessa posa di Ronaldo.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 1 Ranocchiate

EP.1: ROBERTO MANCINI

Roberto Mancini, per tutti Il Mancio, resterà nell’immaginario comune come uno dei tanti, grandi, grandissimi, numeri 10 della storia del nostro Paese.
Tutto genio e sregolatezza, colpi di tacco e colpi “di testa”.

La sua carriera, tra gli anni ’80 e 2000, è piena di grandi giocate (abbiamo tutti in mente il gol di tacco a Parma con la maglia della Lazio o il connubio blucerchiato con il suo gemello del gol, Gianluca Vialli) e screzi con arbitri, giornalisti, pubblico.

Uno dei più famosi, sicuramente il più eclatante, vede protagonista anche la nostra Inter: 5 novembre 1995, Roberto è il capitano della Sampdoria di Sven-Goran Eriksson e a Marassi arriva, appunto, la Beneamata in compagnia della buon’anima dell’arbitro Nicchi.

Durante il primo tempo, il direttore di gara non assegna un rigore per un presunto fallo su Mancini, che la prende con filosofia, si toglie e lancia la fascia da capitano (il suo pupillo Balotelli da qualcuno avrà pur imparato), insulta e maledice le successive 4 generazioni della famiglia Nicchi, chiede il cambio, aizza la folla contro il mal capitato fischietto e, ovviamente, si fa espellere.
Risultato: 6 giornate di squalifica.

Dopo una grande carriera da giocatore, nel giro di qualche mese dal ritiro, Roberto, intraprende quella da allenatore; particolare anche l’inizio di questa avventura: firma come vice-allenatore della Lazio, salvo poi accettare un semestrale da giocatore con il Leicester. Finisce tutto un mese e 5 presenze dopo.

Allenare, a quanto pare, gli riesce piuttosto bene: oltre al capello ordinato e la sciarpina colorata può vantarsi anche di una Premier League vinta all’ultimo respiro con il Manchester City (2011/12), tre coppe nazionali tra Inghilterra e Turchia(Galatasaray) e SETTE titoli (3 Scudetti consecutivi, 2 Coppa Italia, 2 Supercoppa) proprio con l’Inter, cosa che lo rende l’allenatore più vincente della storia nerazzurra, a parimerito con un certo Helenio Herrera.

Oggi è il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana. L’esperienza a tinte nero-blu di Mancini si divide in 2 periodi: il primo, dal 2004 al 2008, che si rivelerà particolarmente vincente nell’Italia del pallone post-Calciopoli, l’altro, dal 2014 al 2016, che si rivelerà particolarmente nefasto, nella Milano del pallone post-BenitezLeonardoGasperiniRanieriStramaccioniMazzarri.

Questi sono i FIVE EPIC MOMENTS che abbiamo scelto per voi:

1) LA PAREGGITE DEL 2004

Diciamo che l’avventura del Mancio sulla panchina interista non è che sia partita proprio nel migliore dei modi. Il fatto che la stagione si fosse aperta con il lungimirante e mai rimpianto scambio Cannavaro-Carini, a posteriori, ci dovrebbe spiegare un po’ di cose. In verità, il mercato nerazzurro è interessante, alla corte di Moratti arriva gente di livello: su tutti citiamo Verón, Mihajlovic, Cambiasso e un giovane Nico Burdisso.

L’Inter, quell’anno, in Serie A perderà soltanto due volte e la prima di queste sarà a fine febbraio, in un derby.

Ma…
C’è sempre un “ma…” nella nostra storia, lo sapete. Il “ma…”, in questo caso è grosso come il gambone di Mariga al Camp Nou, è grande come 15 PAREGGI nelle prime 23 partite, per un totale, a fine campionato, di 18 pareggi, 18 vittorie e 72 punti in classifica.

La prima stagione di Mister X (così verrà soprannominato il mister, pur non essendo sul tabellino del mercato di Galliani) sarà comunque positiva: un ottimo terzo posto, la vittoria della Coppa Italia e un discreto risultato in Europa.

Da quella Champions, dopo aver battuto agli ottavi i campioni uscenti del Porto, verremo eliminati ai quarti, dal Milan, che andrà poi a vincere per 3-0 il primo tempo della Finale di Istanbul contro il Liverpool di Gerrard, Smicer, Xabi Alonso, Dudek e compagni. Sì, i quattro nomi sono scelti a caso e messi in ordine sparso.

Forse.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 2 Ranocchiate

2) INTER-SAMPDORIA (3-2), 09/01/2005
L’APOTEOSI DELLA PAZZA INTER.

È inutile negarlo, noi tifosi in quella partita ci sguazziamo ancora oggi come dei piccoli ranocchietti festanti. Viverla sul momento, però, non è stato facile e chi c’era lo sa.

Così come lo sa mister Mancini, enorme ex di giornata. A San Siro, in casa degli imbattuti, per la 19^ giornata, arriva la Samp di Novellino, che al momento si trova appaiata ai nostri in classifica. Insomma, sono punti pesanti.

Tutto procede, come sempre, secondo il sadico copione di vita nerazzurro: all’86esimo minuto siamo sotto di 2 gol, il Chino Recoba ha appena demolito un palo della porta di Antonioli e gli spalti del Meazza si sono già svuotati. Per dovere di cronaca, il tabellino è firmato Max Tonetto e Vitali Kutuzov, che personalmente ricordo come un incubo, infatti un quarto dei suoi gol (9) in Serie A li segna proprio a San Siro.

MA… A tre dalla fine Oba Oba Martins chiude l’esterno sinistro, riapre la partita e sente l’epica bussare alla porta nerazzurra. Il Mancio, nel frattempo, inizia a dire ai collaboratori in panchina cose tipo “Io te l’ho detto”.

E da qui andremo minuto per minuto.

89.40: sul copione c’è scritto che l’arbitro non assegnerà un rigore clamoroso per fallo di mano su tiro di Vieri, e così è. Sulla lavagnetta luminosa del recupero compare il numero 4. Un chiaro segnale divino.

90.22: spiove un pallone in area, Martins la difende con il fisico che non ha e la mette in mezzo con una rovesciata in stile Jeison Murillo. Trova il destro al volo di Bobo Vieri. Tritolone la pareggia. I nostri riportano la palla al centro del campo. La gente rientra a San Siro di nascosto, come fa Eriksen alla Pinetina per intenderci.

Il Mancio, qui, resta in silenzio, ma solo perché sta ripensando a Carletto Mazzone che corre sotto la curva dell’Atalanta e ci vede sé stesso in un futuro molto vicino.

92.58: I doriani liberano di testa un cross di Karagounis dalla destra. La palla si impenna e arriva al limite dell’area, sui piedi di Stankovic. Deki la appoggia a Recoba, delicata delicata.

El Chino carica quel mancino che il Padre Eterno gli ha creato in un momento di particolare estro, prende la mira sull’angolo alla destra del portiere e spara. RETE. 3-2. La Scala del calcio, in pratica, crolla come le braccia di Brozo al primo errore di un compagno. Moratti è il meme di Randy Marsh di South Park davanti al computer.

A questo punto, il nostro Mancio perde qualsiasi tipo di senno. Si gira verso la tribuna da cui gli erano piovuti addosso insulti per ottantanove minuti, forse un po’ di più visto come stesse andando l’annata, e li restituisce tutti: fa gesti, urla, cerca qualcuno che voleva menare. Ne indica due in particolare, qualcuno parla di una coppia venuta dal futuro, di un tamarro tatuato e una bionda un po’ rifatta che prima era la moglie del suo migliore amico, ma non sapremo mai chi fossero di preciso.
Da quel momento in poi, però, a noi è rimasta chiara una cosa:

“NULLA È IMPOSSIBILE PER QUESTA INTER”

3) PARMA-INTER (0-2), 18/05/2008

È l’ultima giornata e, guarda un po’, i ragazzi di Mancini hanno già fallito tre match-point.
Nell’ultimo capitolo del solito romanzo suicida ci sono degli incroci strani: lo Scudetto se lo giocano i nerazzurri e la Roma di Spalletti che dista un punto, mente la salvezza è un discorso tra il Parma di Héctor Cúper (licenziato proprio prima della sfida da ex, a detta di tutti per evitare spiacevoli favori) e il Catania di Zenga, cuore nerazzurro; l’ultimo turno regala proprio Parma-Inter e Catania-Roma.
Dovrebbe essere fine maggio, ma quel giorno, a Parma non lo è. Sembra novembre: campo allagato, pioggia torrenziale, freddo. L’Inter a quell’appuntamento ci arriva senza il suo pezzo da novanta: Zlatan Ibrahimovic, bloccato in infermeria da un paio di mesi per un problema al ginocchio.
Nella finale scudetto ne fanno le veci Balotelli, Julio Cruz e sua maestà César Aparecido Rodrigues.
Oltre a Zlatan, mancano tanti uomini forti: Cordoba, Samuel, Chivu, Luis Figo e Cambiasso, tenete a mente quest’ultimo.

Tutto come previsto, ovviamente.

Dopo 8 minuti la Roma è virtualmente Campione d’Italia e il campo del Tardini sembra sempre più la sala stampa di Antonio Conte dopo una sconfitta, ci si avvicina ai limiti della praticabilità e i soliti fantasmi iniziano a vestirsi del tipico lenzuolo.
Il primo tempo è da brividi, si chiude sullo 0-0.
Serve una scossa.

Mancini lo sa da settimane, continua a ripeterlo ai medici nerazzurri: “fate quello che volete, LUI l’ultima partita deve giocarla, sono problemi vostri”.
Ibra non sta bene, ma i compagni lo cercano, lo necessitano, e allora il Mancio lo manda a scaldare e poco dopo l’inizio della ripresa, sul terreno di gioco.

Da qui parte la Supremacy. Zlatan fermo da 2 mesi, senza gol su azione da un girone esatto, infortunato, quando entra in campo fa totalmente il cazzo che gli pare.
0-1 al 17’, 0-2 al 34’. Cambiasso si fa cacciare dal box presidenziale del Tardini dalla mamma del presidente Ghirardi perché esulta in modo troppo sguaiato.
Per Ibra doppietta fuori da ogni logica, Scudetto numero sedici in tasca, il Mondo ai piedi e tanti saluti.
A proposito di saluti.
Al fischio finale, Mancini si gira ancora una volta verso la tribuna, dove Cambiasso, nel frattempo, rischia la denuncia. Questa volta niente insulti o rabbia, solo tanta gioia e uno sguardo da incrociare, quello del presidente Massimo Moratti.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 3 Ranocchiate

La prima parte della storia d’amore tra il Mancio e l’Inter si chiude così.
Dopo lo scudetto di cartone del 2006, quello scontato (viste retrocessioni e penalizzazioni) del 2007, chiude con un titolo travagliato, sudato più del dovuto ma anche tanto, tanto meritato.
Obbiettivo centrato, ma esonero inevitabile a causa delle dichiarazioni dopo l’eliminazione europea contro il Liverpool, a marzo. “Non so se tra due mesi sarò ancora qui”, disse e, in effetti, così sarà.

4) NAPOLI-INTER(0-2), 19/01/2016

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 4 Ranocchiate

È una normale, inutile, serata di Coppa Italia del “Mancini Bis”.
I ragazzi, in occasione dei quarti di finale, fanno visita al Napoli di Maurizio Sarri allo Stadio San Paolo con una graziosissima divisa giallo canarino, mentre il mister si presenta con una gradevole sciarpetta in più tonalità di blu che spaziano fino all’azzurro.

L’atmosfera in campo è frizzantina e i ventidue bonazzi tatuati non si risparmiano colpi proibiti. Dopo lo 0-1 di un dolcissimo Jojo, però, l’atmosfera si fa pazzerella. L’attaccante bassino belga del Napoli si tuffa in area come se fosse su una nuvoletta morbidissima e bianchissima, ma l’arbitro capisce che è un tipo un po’ falso e gli mostra il cartellino rosso fuego.
A questo punto il fuego si sposta anche sulle panchine, con gli allenatori che litigano un sacco Amo non puoi capire, quasi si tirano i capelli, cioè davvero io non lo so, vengono espulsi entrambi.
Un biondino di nome Adem la chiude in contropiede, 0-2. Semifinale.
La parte triste di questa storia, però, salta fuori nel post-partita.

Roby Mancy si presenta davanti alle telecamere, con i soliti capelli cotonatissimi, voluminosissimi e lucentissimi top ma comprensibilmente nervosetto.
L’accusa verso il suo collega brutto, vestito sempre male, un po’ cafoncello e totally invidioso dei colpi di sole sul ciuffo è molto pesante e la presa di posizione netta, da condividere al 100%: “è un razzista, gente come lui non dovrebbe stare nel calcio. Si deve vergognare, ha 60 anni. Mi ero alzato per chiedere la cremina idratante al quarto uomo, lui mi è venuto contro dandomi del fr*cio e del fin*cchio. Se lui è un uomo, allora sarei ben contento di esserlo”.
Sarri si discolpa nel peggiore dei modi: dicendo che le cose di campo dovrebbero rimanere in campo, che nella vita non è così.
Cioè davvero io boh amo, super condanna totale.
Ora sul serio. Non si può assistere ancora a insulti del genere nel terzo millennio, è una cosa che fa schifo e non ha motivo di esistere. E il messaggio dovrebbe essere tanto naturale quanto chiaro: OGNUNO AMA CHI CAZZO GLI PARE.
Bacioni stellari.

5) MILAN-INTER(3-0), 31/01/2016
Quello di Juan Jesus e Montolivo con le fasce da capitano, quello che a inizio partita si presentano con la vanga per piantare l’alberello, proprio quello lì.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 5 Ranocchiate

Il nostro è un undici titolare da sogno, la Jugoslavia ne farebbe un manifesto: Handanovic; Santon, Miranda, Murillo, Juan Jesus©; Medel, Brozovic; Perisic, Ljajic, Eder; Jovetic.
Sì esatto, c’è un escluso molto illustre relegato in panchina: Danilo D’ambrosio.
E ne pagheremo le conseguenze.
Tre scoppole volanti tirate da gente tipo Alex, Bacca e Niang.

Con un M.I. che, subentrante, tira sul palo il rigore dell’1-1 e un Roberto Mancini particolarmente caldo, visto anche il confronto con l’amico e allievo Sinisa Mihajlovic seduto sulla panchina rossonera.
Il mister è in una serata di quelle polemiche, difficili da gestire. E infatti non la gestisce.
Al 50’ Donnarumma svirgola in area, va per riprendere il pallone con le mani ma stende Eder. Rigore, poi niente rigore, poi punizione a due in area, poi boh.
Il Mancio decide di far capire al direttore di gara che una gestione simile di quell’episodio non possa essere corretta. Probabilmente, farlo come Nainggolan quando non gli servono l’ottavo Negroni, non è il modo giusto.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 6 Ranocchiate

Si becca il rosso e va a farsi la doccia, bere un tè caldo o a fare quello che fa un allenatore espulso.
Prima di uscire dal campo, però, si toglie un piccolo sassolino che i tifosi milanisti gli avevano messo in fondo ai mocassini e li saluta alzando un dito medio.
Poco carino a vedersi, ma anche molto soddisfacente.
A fine serata, dopo aver litigato anchea Mediaset Premium con la povera Mikaela Calcagno, rea di “dire stronzate”, “fare domande solo per far polemica” e “dire cagate” (che non è che avesse tutti i torti nemmeno lì, è sempre il modo quello sbagliato), arriveranno le scuse ufficiali del mister.

La seconda parte della carriera interista di mister Mancini terminerà nel pieno dell’estate milanese, a causa degli attriti con la nuova proprietà targata Suning.
Si dimetterà, Roberto, l’allenatore più vincente della storia nero-blu, sempre con i capelli in ordine e la sciarpa al collo. Anche quando Andreolli decise di prenderlo a pallonate in faccia per ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto per questi colori, i nostri colori.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 7 Ranocchiate

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini

“FIVE EPIC MOMENTS” è una rubrica che scatta le cinque istantanee che legano a filo diretto un calciatore o un allenatore dal trascorso interista e il cuore malato di noi ranocchi dello stagno.
Ogni nerazzurro, nel bene o nel male, lascia qualcosa ai suoi ex tifosi; che siano gioie o dolori poco importa, tanto finirà sempre tutto in una valle di lacrime. È solo questione di tempo.

Per farvi un esempio, Gabigol è stato presentato con la stessa posa di Ronaldo.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 8 Ranocchiate

EP.1: ROBERTO MANCINI

Roberto Mancini, per tutti Il Mancio, resterà nell’immaginario comune come uno dei tanti, grandi, grandissimi, numeri 10 della storia del nostro Paese.
Tutto genio e sregolatezza, colpi di tacco e colpi “di testa”.

La sua carriera, tra gli anni ’80 e 2000, è piena di grandi giocate (abbiamo tutti in mente il gol di tacco a Parma con la maglia della Lazio o il connubio blucerchiato con il suo gemello del gol, Gianluca Vialli) e screzi con arbitri, giornalisti, pubblico.

Uno dei più famosi, sicuramente il più eclatante, vede protagonista anche la nostra Inter: 5 novembre 1995, Roberto è il capitano della Sampdoria di Sven-Goran Eriksson e a Marassi arriva, appunto, la Beneamata in compagnia della buon’anima dell’arbitro Nicchi.

Durante il primo tempo, il direttore di gara non assegna un rigore per un presunto fallo su Mancini, che la prende con filosofia, si toglie e lancia la fascia da capitano (il suo pupillo Balotelli da qualcuno avrà pur imparato), insulta e maledice le successive 4 generazioni della famiglia Nicchi, chiede il cambio, aizza la folla contro il mal capitato fischietto e, ovviamente, si fa espellere.
Risultato: 6 giornate di squalifica.

Dopo una grande carriera da giocatore, nel giro di qualche mese dal ritiro, Roberto, intraprende quella da allenatore; particolare anche l’inizio di questa avventura: firma come vice-allenatore della Lazio, salvo poi accettare un semestrale da giocatore con il Leicester. Finisce tutto un mese e 5 presenze dopo.

Allenare, a quanto pare, gli riesce piuttosto bene: oltre al capello ordinato e la sciarpina colorata può vantarsi anche di una Premier League vinta all’ultimo respiro con il Manchester City (2011/12), tre coppe nazionali tra Inghilterra e Turchia(Galatasaray) e SETTE titoli (3 Scudetti consecutivi, 2 Coppa Italia, 2 Supercoppa) proprio con l’Inter, cosa che lo rende l’allenatore più vincente della storia nerazzurra, a parimerito con un certo Helenio Herrera.

Oggi è il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana. L’esperienza a tinte nero-blu di Mancini si divide in 2 periodi: il primo, dal 2004 al 2008, che si rivelerà particolarmente vincente nell’Italia del pallone post-Calciopoli, l’altro, dal 2014 al 2016, che si rivelerà particolarmente nefasto, nella Milano del pallone post-BenitezLeonardoGasperiniRanieriStramaccioniMazzarri.

Questi sono i FIVE EPIC MOMENTS che abbiamo scelto per voi:

1) LA PAREGGITE DEL 2004

Diciamo che l’avventura del Mancio sulla panchina interista non è che sia partita proprio nel migliore dei modi. Il fatto che la stagione si fosse aperta con il lungimirante e mai rimpianto scambio Cannavaro-Carini, a posteriori, ci dovrebbe spiegare un po’ di cose. In verità, il mercato nerazzurro è interessante, alla corte di Moratti arriva gente di livello: su tutti citiamo Verón, Mihajlovic, Cambiasso e un giovane Nico Burdisso.

L’Inter, quell’anno, in Serie A perderà soltanto due volte e la prima di queste sarà a fine febbraio, in un derby.

Ma…
C’è sempre un “ma…” nella nostra storia, lo sapete. Il “ma…”, in questo caso è grosso come il gambone di Mariga al Camp Nou, è grande come 15 PAREGGI nelle prime 23 partite, per un totale, a fine campionato, di 18 pareggi, 18 vittorie e 72 punti in classifica.

La prima stagione di Mister X (così verrà soprannominato il mister, pur non essendo sul tabellino del mercato di Galliani) sarà comunque positiva: un ottimo terzo posto, la vittoria della Coppa Italia e un discreto risultato in Europa.

Da quella Champions, dopo aver battuto agli ottavi i campioni uscenti del Porto, verremo eliminati ai quarti, dal Milan, che andrà poi a vincere per 3-0 il primo tempo della Finale di Istanbul contro il Liverpool di Gerrard, Smicer, Xabi Alonso, Dudek e compagni. Sì, i quattro nomi sono scelti a caso e messi in ordine sparso.

Forse.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 9 Ranocchiate

2) INTER-SAMPDORIA (3-2), 09/01/2005
L’APOTEOSI DELLA PAZZA INTER.

È inutile negarlo, noi tifosi in quella partita ci sguazziamo ancora oggi come dei piccoli ranocchietti festanti. Viverla sul momento, però, non è stato facile e chi c’era lo sa.

Così come lo sa mister Mancini, enorme ex di giornata. A San Siro, in casa degli imbattuti, per la 19^ giornata, arriva la Samp di Novellino, che al momento si trova appaiata ai nostri in classifica. Insomma, sono punti pesanti.

Tutto procede, come sempre, secondo il sadico copione di vita nerazzurro: all’86esimo minuto siamo sotto di 2 gol, il Chino Recoba ha appena demolito un palo della porta di Antonioli e gli spalti del Meazza si sono già svuotati. Per dovere di cronaca, il tabellino è firmato Max Tonetto e Vitali Kutuzov, che personalmente ricordo come un incubo, infatti un quarto dei suoi gol (9) in Serie A li segna proprio a San Siro.

MA… A tre dalla fine Oba Oba Martins chiude l’esterno sinistro, riapre la partita e sente l’epica bussare alla porta nerazzurra. Il Mancio, nel frattempo, inizia a dire ai collaboratori in panchina cose tipo “Io te l’ho detto”.

E da qui andremo minuto per minuto.

89.40: sul copione c’è scritto che l’arbitro non assegnerà un rigore clamoroso per fallo di mano su tiro di Vieri, e così è. Sulla lavagnetta luminosa del recupero compare il numero 4. Un chiaro segnale divino.

90.22: spiove un pallone in area, Martins la difende con il fisico che non ha e la mette in mezzo con una rovesciata in stile Jeison Murillo. Trova il destro al volo di Bobo Vieri. Tritolone la pareggia. I nostri riportano la palla al centro del campo. La gente rientra a San Siro di nascosto, come fa Eriksen alla Pinetina per intenderci.

Il Mancio, qui, resta in silenzio, ma solo perché sta ripensando a Carletto Mazzone che corre sotto la curva dell’Atalanta e ci vede sé stesso in un futuro molto vicino.

92.58: I doriani liberano di testa un cross di Karagounis dalla destra. La palla si impenna e arriva al limite dell’area, sui piedi di Stankovic. Deki la appoggia a Recoba, delicata delicata.

El Chino carica quel mancino che il Padre Eterno gli ha creato in un momento di particolare estro, prende la mira sull’angolo alla destra del portiere e spara. RETE. 3-2. La Scala del calcio, in pratica, crolla come le braccia di Brozo al primo errore di un compagno. Moratti è il meme di Randy Marsh di South Park davanti al computer.

A questo punto, il nostro Mancio perde qualsiasi tipo di senno. Si gira verso la tribuna da cui gli erano piovuti addosso insulti per ottantanove minuti, forse un po’ di più visto come stesse andando l’annata, e li restituisce tutti: fa gesti, urla, cerca qualcuno che voleva menare. Ne indica due in particolare, qualcuno parla di una coppia venuta dal futuro, di un tamarro tatuato e una bionda un po’ rifatta che prima era la moglie del suo migliore amico, ma non sapremo mai chi fossero di preciso.
Da quel momento in poi, però, a noi è rimasta chiara una cosa:

“NULLA È IMPOSSIBILE PER QUESTA INTER”

3) PARMA-INTER (0-2), 18/05/2008

È l’ultima giornata e, guarda un po’, i ragazzi di Mancini hanno già fallito tre match-point.
Nell’ultimo capitolo del solito romanzo suicida ci sono degli incroci strani: lo Scudetto se lo giocano i nerazzurri e la Roma di Spalletti che dista un punto, mente la salvezza è un discorso tra il Parma di Héctor Cúper (licenziato proprio prima della sfida da ex, a detta di tutti per evitare spiacevoli favori) e il Catania di Zenga, cuore nerazzurro; l’ultimo turno regala proprio Parma-Inter e Catania-Roma.
Dovrebbe essere fine maggio, ma quel giorno, a Parma non lo è. Sembra novembre: campo allagato, pioggia torrenziale, freddo. L’Inter a quell’appuntamento ci arriva senza il suo pezzo da novanta: Zlatan Ibrahimovic, bloccato in infermeria da un paio di mesi per un problema al ginocchio.
Nella finale scudetto ne fanno le veci Balotelli, Julio Cruz e sua maestà César Aparecido Rodrigues.
Oltre a Zlatan, mancano tanti uomini forti: Cordoba, Samuel, Chivu, Luis Figo e Cambiasso, tenete a mente quest’ultimo.

Tutto come previsto, ovviamente.

Dopo 8 minuti la Roma è virtualmente Campione d’Italia e il campo del Tardini sembra sempre più la sala stampa di Antonio Conte dopo una sconfitta, ci si avvicina ai limiti della praticabilità e i soliti fantasmi iniziano a vestirsi del tipico lenzuolo.
Il primo tempo è da brividi, si chiude sullo 0-0.
Serve una scossa.

Mancini lo sa da settimane, continua a ripeterlo ai medici nerazzurri: “fate quello che volete, LUI l’ultima partita deve giocarla, sono problemi vostri”.
Ibra non sta bene, ma i compagni lo cercano, lo necessitano, e allora il Mancio lo manda a scaldare e poco dopo l’inizio della ripresa, sul terreno di gioco.

Da qui parte la Supremacy. Zlatan fermo da 2 mesi, senza gol su azione da un girone esatto, infortunato, quando entra in campo fa totalmente il cazzo che gli pare.
0-1 al 17’, 0-2 al 34’. Cambiasso si fa cacciare dal box presidenziale del Tardini dalla mamma del presidente Ghirardi perché esulta in modo troppo sguaiato.
Per Ibra doppietta fuori da ogni logica, Scudetto numero sedici in tasca, il Mondo ai piedi e tanti saluti.
A proposito di saluti.
Al fischio finale, Mancini si gira ancora una volta verso la tribuna, dove Cambiasso, nel frattempo, rischia la denuncia. Questa volta niente insulti o rabbia, solo tanta gioia e uno sguardo da incrociare, quello del presidente Massimo Moratti.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 10 Ranocchiate

La prima parte della storia d’amore tra il Mancio e l’Inter si chiude così.
Dopo lo scudetto di cartone del 2006, quello scontato (viste retrocessioni e penalizzazioni) del 2007, chiude con un titolo travagliato, sudato più del dovuto ma anche tanto, tanto meritato.
Obbiettivo centrato, ma esonero inevitabile a causa delle dichiarazioni dopo l’eliminazione europea contro il Liverpool, a marzo. “Non so se tra due mesi sarò ancora qui”, disse e, in effetti, così sarà.

4) NAPOLI-INTER(0-2), 19/01/2016

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 11 Ranocchiate

È una normale, inutile, serata di Coppa Italia del “Mancini Bis”.
I ragazzi, in occasione dei quarti di finale, fanno visita al Napoli di Maurizio Sarri allo Stadio San Paolo con una graziosissima divisa giallo canarino, mentre il mister si presenta con una gradevole sciarpetta in più tonalità di blu che spaziano fino all’azzurro.

L’atmosfera in campo è frizzantina e i ventidue bonazzi tatuati non si risparmiano colpi proibiti. Dopo lo 0-1 di un dolcissimo Jojo, però, l’atmosfera si fa pazzerella. L’attaccante bassino belga del Napoli si tuffa in area come se fosse su una nuvoletta morbidissima e bianchissima, ma l’arbitro capisce che è un tipo un po’ falso e gli mostra il cartellino rosso fuego.
A questo punto il fuego si sposta anche sulle panchine, con gli allenatori che litigano un sacco Amo non puoi capire, quasi si tirano i capelli, cioè davvero io non lo so, vengono espulsi entrambi.
Un biondino di nome Adem la chiude in contropiede, 0-2. Semifinale.
La parte triste di questa storia, però, salta fuori nel post-partita.

Roby Mancy si presenta davanti alle telecamere, con i soliti capelli cotonatissimi, voluminosissimi e lucentissimi top ma comprensibilmente nervosetto.
L’accusa verso il suo collega brutto, vestito sempre male, un po’ cafoncello e totally invidioso dei colpi di sole sul ciuffo è molto pesante e la presa di posizione netta, da condividere al 100%: “è un razzista, gente come lui non dovrebbe stare nel calcio. Si deve vergognare, ha 60 anni. Mi ero alzato per chiedere la cremina idratante al quarto uomo, lui mi è venuto contro dandomi del fr*cio e del fin*cchio. Se lui è un uomo, allora sarei ben contento di esserlo”.
Sarri si discolpa nel peggiore dei modi: dicendo che le cose di campo dovrebbero rimanere in campo, che nella vita non è così.
Cioè davvero io boh amo, super condanna totale.
Ora sul serio. Non si può assistere ancora a insulti del genere nel terzo millennio, è una cosa che fa schifo e non ha motivo di esistere. E il messaggio dovrebbe essere tanto naturale quanto chiaro: OGNUNO AMA CHI CAZZO GLI PARE.
Bacioni stellari.

5) MILAN-INTER(3-0), 31/01/2016
Quello di Juan Jesus e Montolivo con le fasce da capitano, quello che a inizio partita si presentano con la vanga per piantare l’alberello, proprio quello lì.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 12 Ranocchiate

Il nostro è un undici titolare da sogno, la Jugoslavia ne farebbe un manifesto: Handanovic; Santon, Miranda, Murillo, Juan Jesus©; Medel, Brozovic; Perisic, Ljajic, Eder; Jovetic.
Sì esatto, c’è un escluso molto illustre relegato in panchina: Danilo D’ambrosio.
E ne pagheremo le conseguenze.
Tre scoppole volanti tirate da gente tipo Alex, Bacca e Niang.

Con un M.I. che, subentrante, tira sul palo il rigore dell’1-1 e un Roberto Mancini particolarmente caldo, visto anche il confronto con l’amico e allievo Sinisa Mihajlovic seduto sulla panchina rossonera.
Il mister è in una serata di quelle polemiche, difficili da gestire. E infatti non la gestisce.
Al 50’ Donnarumma svirgola in area, va per riprendere il pallone con le mani ma stende Eder. Rigore, poi niente rigore, poi punizione a due in area, poi boh.
Il Mancio decide di far capire al direttore di gara che una gestione simile di quell’episodio non possa essere corretta. Probabilmente, farlo come Nainggolan quando non gli servono l’ottavo Negroni, non è il modo giusto.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 13 Ranocchiate

Si becca il rosso e va a farsi la doccia, bere un tè caldo o a fare quello che fa un allenatore espulso.
Prima di uscire dal campo, però, si toglie un piccolo sassolino che i tifosi milanisti gli avevano messo in fondo ai mocassini e li saluta alzando un dito medio.
Poco carino a vedersi, ma anche molto soddisfacente.
A fine serata, dopo aver litigato anchea Mediaset Premium con la povera Mikaela Calcagno, rea di “dire stronzate”, “fare domande solo per far polemica” e “dire cagate” (che non è che avesse tutti i torti nemmeno lì, è sempre il modo quello sbagliato), arriveranno le scuse ufficiali del mister.

La seconda parte della carriera interista di mister Mancini terminerà nel pieno dell’estate milanese, a causa degli attriti con la nuova proprietà targata Suning.
Si dimetterà, Roberto, l’allenatore più vincente della storia nero-blu, sempre con i capelli in ordine e la sciarpa al collo. Anche quando Andreolli decise di prenderlo a pallonate in faccia per ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto per questi colori, i nostri colori.

Five Epic Moments, Ep.1: Roberto Mancini 14 Ranocchiate

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